È tutto liveness
La ridefinizione reciproca tra l’esecuzione dal vivo e quella “medializzata”
In seguito alla pandemia si è molto riflettuto sul concetto di liveness e sugli effetti del Covid 19 sulle esperienze live che vivono sostanzialmente della prossimità fisica, mettendo in discussione il valore del qui e ora.
E proprio lungo la lineare del “qui e ora” si sono sviluppate diverse produzioni. Un progetto di ricerca realizzato presso il Massachussetts Institute of Technology (MIT) ha trasformato il coronavirus in una melodia. Per farlo, un team di ricercatori ha utilizzato un’intelligenza artificiale e la tecnica che quest’ultima possiede di tradurre in musica il Covid-19.
L’intelligenza artificiale traspone in suoni e vibrazioni le sequenze di amminoacidi che compongono la catena proteica del virus. La melodia è di ben 109 minuti ed è possibile ascoltarla su Soundcloud del professore Markus Buehler.
Se da un lato la musica si fa portatrice di capacità scientifiche, come nel caso prima descritto, si verificano eventualità in cui la musica si pone al servizio della salvaguardia del benessere psicologico di un individuo o di un insieme di essi.
Divenuta la vera protagonista durante il lockdown, la musica ha conferito sollievo e profonda emozione, con scenari toccanti e inimmaginabili. Grazie all’utilizzo dei social network è stato possibile creare una rete di contatti che si dessero appuntamento ad una data ora per svolgere una vera e propria perfomance improvvisata.
I balconi e le finestre delle proprie abitazioni divenivano palcoscenici per rappresentazioni musicali e spettacoli arrangiati. Un sostanziale, radicale ripensamento del concetto di “liveness”.
Le prime riflessioni sulla liveness le dobbiamo a Philip Auslander, incentrate in modo particolare sulla performance, l’arte e la relazione con i media e la tecnologia, che si soffermano in maniera particolare sul teatro, la recitazione cinematografica, la performance art, il cabaret e la musica. Nel suo lavoro riguardante il rapporto tra l’esecuzione live e quella “medializzata” smonta l’idea di un’opposizione, stabilendo un processo di ridefinizione reciproca.
Questo approccio torna particolarmente utile alla luce dell’immersione online di questi ultimi mesi.
Partendo infatti dal principio che il live in sé non è uno stato incontaminato dai media ma, anzi, nasce insieme alla tecnologica, vediamo come la storia della performance dal vivo è legata indissolubilmente a quella dei supporti di registrazione e si estende per non più degli ultimi 100-150 anni.
«Lungi dall’essere invasa, contaminata o minacciata dalla mediazione, la performance dal vivo è sempre già inserita con le tracce della possibilità di mediazione tecnica che la definisce come dal vivo». In particolare Auslander, affrontando quella che è la performance musicale, assume una posizione abbastanza forte sulle distinzione tra la musica come essenza e l’essere fisico di chi la fa, in particolare attraverso i suoi studi sulle performance di David Bowie.
Egli in particolare afferma: «la musica non è un suono disgiunto dall’essere fisico di chi lo fa…i suoni che sento risultano direttamente da tutti gli aspetti dell’impegno fisico della persona e dell’atto di fare musica – tutti i suoni e i gesti che costituiscono la performance».
Tale affermazione rappresenta il risultato e la naturale evoluzione di un’indagine volta a mettere in discussione l’idea ancora diffusa che in una performance musicale sia utile o possibile ancora distinguere la musica dalla tecnica.
Auslander pone poi la questione sul pubblico e cioè tra quello che assiste allo show originale e quello che ne osserva la riproduzione, secondo cui l’autenticità deriverebbe dal percepire la performance riprodotta come facente parte del progetto estetico dell’artista.
Lo stesso concerto live, di cui conserviamo ingenuamente un’idea di purezza, che cos’è se non uno spettacolo in serie, mediato sempre e comunque dalla tecnologia e i software audio, i giochi di luce, i mega schermi e tutti gli effetti speciali, che fanno parte del grande evento medializzato, anche se il performer deve apparire vero e il concerto percepito come unico e irripetibile.
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