Bowie, Berlino e gli anni ’70

Genesi e storia della Trilogia del Duca Bianco (“Low”1976, “Heroes” 1977 e “Lodger” 1979) che ha donato alla storia della musica un trittico di sonorità e sperimentazione d’infinita bellezza

 

Eccoci nel 1976, ci troviamo a Berlino Ovest. Lo scenario è quello di Schoneberg, civico 155 di Hauptsrasse, uno dei quartieri più decadenti e maudit dell’intera Germania. Bowie, via dalla pazza folla americana, trova “rifugio” a Berlino in compagnia del fedelissimo Iggy Pop. E qui i locali bohemien, i cabaret innovativi, le nuove avanguardie, le atmosfere che annunciano un nascente sentire punk, la violenza del Muro, l’attenzione verso le radici della miglior elettronica (Can, Kraftwerk, Tangerine Dream e soprattutto i Neu), il cocktail identitario Est/Ovest, la vita by night, i dialoghi con musicisti come Brian Eno, Tony Visconti, Robert Fripp, saranno il nutrimento alla base della potente “Trilogia Berlinese” (“Low”1976, “Heroes” 1977 e “Lodger” 1979) che donerà alla storia della musica un trittico di sonorità e sperimentazione d’infinita bellezza. E centrale per capire il futuro (senza quest’opera tricefala non sarebbero nati gruppi come Joy Division, Depeche Mode, Ultravox, Bauhaus, Human League, Nick Cave, U2 e i nostri Marlene Kuntz).

Questa trilogia è il perfetto sunto dell’universo Bowie. Perché Bowie è un continuo “rimediare” la storia e le sue tracce espressive. Bowie ininterrottamente interroga e reinventa gli stili della creatività. La complessa personalità di Bowie, insomma, non può esser ridotta alla sua produzione musicale ma necessita sempre di un continuo esplodere concettuale per coglierne l’uso dei molteplici temi, soggettività e tecniche. Il suo trasformismo ha cavalcato tutte le mode. Non solo anticipando i generi musicali ma annunciando una concreta contaminazione estetica e produttiva.

Se “Low” è magistralmente inquieto e sperimentale e “Lodger” è l’annuncio dell’immenso pop anni 80, “Heroes” è la sintesi di tutta la new wave che maturerà nel tempo. In questo disco troviamo l’ardore pre-punk, l’elettronica metropolitana, le sonorità kraut-rock. E il respiro malinconico e decadente rendono questo disco opera apicale. E mitologia vuole che, proprio a partire da questo disco, il Muro abbia cominciato a consumarsi. Mentre il fuoco della Guerra Fredda impera, Bowie racconta di due ragazzi che vede baciarsi all’ombra di quel Muro. Un bacio come tanti ma frutto di un qualcosa che guarda al futuro. O che ha la forza visionaria di trasformare due giovani amanti in eroi (almeno per un giorno). Nella realtà un bacio internazionale ci fu tra Tony Visconti (storico producer di Bowie) e la corista Antonia Maaß (sorpresi a baciarsi ai piedi del muro, ma per tutela amicale per lungo tempo mai raccontato pubblicamente).

La metafora di quel bacio sarà l’irruente forza che riesploderà durante un successivo concerto berlinese di Bowie il 6 giugno del 1987 davanti al Reichstag, l’ex parlamento nazista a pochi passi dal Muro. Non fu un certo un caso la scelta di questo luogo così atrocemente significativo. E così quel concerto, che nulla aveva di politico, oltre a poter essere ascoltato dal pubblico pagante presente si diffuse anche nella zona Est.

E quando il Duca Bianco esordì in un perfetto tedesco: «mandiamo i nostri migliori auguri ai nostri amici dall’altra parte del Muro», la canzone degli “eroi per un giorno” divenne per tutta la Germania un inno.

E il muro cominciò a crollare. In un fatidico mash-up tra storia, cronaca, politica, musica e immaginazione.

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