C’è chi vuole fare dell’Italia il primo Paese contro il riconoscimento facciale

Telecamere di videosorveglianza (Pixabay)

Fare dell’Italia il primo paese in Europa in grado di legiferare contro il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici, vietando l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per la sorveglianza di massa. L’auspicio è di Guido Scorza, componente del collegio del Garante della privacy e nome forte della tutela dei dati personali in Italia. Nel corso dei lavori della Privacy Week, che si è chiusa venerdì 15 ottobre a Milano, Scorza ha evidenziato la necessità di normare il settore per evitare che qualche blitz improvviso della politica possa dare il via libera alla sorveglianza biometrica nel nome della sicurezza, spuntando le armi del garante.  

“La mia posizione personale – ha detto Scorza – coincide con quella delle autorità di protezione dei dati personali sparse in Europa: una netta chiusura rispetto a un utilizzo diffuso dei sistemi di riconoscimento facciale intelligente. Si tratta di una tecnologia universalmente considerata immatura e gli effetti collaterali sembrano nettamente superiori ai benefici sperati”.

Scorza è intervenuto al dibattito Riconoscimento facciale nei luoghi pubblici: il lato oscuro della tecnologia organizzato da Privacy Network per ragionare sui pericoli della sorveglianza biometrica che garantisce l’identificazione univoca di una persona attraverso strumenti di intelligenza artificiale. Gli esempi non sono solo all’estero: se a Hong Kong il riconoscimento facciale è stato ampiamente utilizzato per monitorare i movimenti di piazza contro la Cina, negli Stati Uniti le telecamere ambiscono a tenere sotto controllo la sicurezza delle città ma non sono certo immuni da errori.

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In Italia c’è chi tenta di utilizzare questi sistemi di riconoscimento facciale, promuovendone l’utilizzo promettendo in cambio più protezione per i cittadini. “Di questo passo – sottolinea Matteo Navacci, co-fondatore di Privacy Network – corriamo il rischio di superare la linea e per comprare la nostra sicurezza siamo disposti a rinunciare alla nostra libertà. Quello della sicurezza a tutti i costi è un virus che ci sta flagellando: a Como e Udine le amministrazioni comunali hanno provato a installare delle telecamere biometriche per aumentare la protezione percepita, ma sono stati fermate proprio dal Garante della privacy”. 

Anche in Europa la tendenza è questa, ragionano gli esperti. Se da un lato infatti la normativa frena sull’utilizzo di intelligenza artificiale e machine learning dall’altro vengono messe in campo deroghe per motivi di sicurezza. Il divieto è annacquato da eccezioni molto ampie che i singoli paesi possono mettere in campo in modo discrezionale”, sottolinea Andrea Baldrati, co-fondatore di Privacy Network.

“Speriamo che ci sia una inversione di rotta, anche alla luce dell’importante risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 6 ottobre che mette al bando il riconoscimento facciale per la sorveglianza di massa non solo nei luoghi pubblici, ma anche a scuola, negli ospedali e negli aeroporti. Ed è un bene perché siamo di fronte a una tecnologia immatura che alimentiamo con i dati senza poter prevedere davvero le sue funzionalità future”, dice.

Attivarsi, evidenzia Diego Dimalta, co-fondatore di Privacy Network, non è mai troppo tardi. “Noi siamo in una posizione contrapposta rispetto a chi il riconoscimento facciale lo vorrebbe installare nei luoghi pubblici in maniera diffusa. E questo perché è una tecnologia che ha dei lati oscuri molto marcati: se finisce nelle mani sbagliate può portare a delle conseguenze molto gravi. Per rendere l’idea, basti pensare che se fosse esistita negli anni del fascismo non ci sarebbe stata la Resistenza, con i partigiani che sarebbero stati individuati prima di poter entrare in azione”, ragiona l’esperto.

Per questo motivo Privacy Network è sostenitore della campagna europea Reclaim your face, nata “per sensibilizzare le autorità ad approvare una normativa adeguata contro il riconoscimento facciale biometrico – racconta Dimalta -. Non è troppo tardi, anzi: noi che lavoriamo nel mondo della privacy sentiamo la frase ‘ormai è troppo tardi’ almeno una volta alla settimana, ma credo sia solo una scusa per molti che non vogliono agire. Il riconoscimento facciale è una tecnologia nuova e questo è il momento esatto per intervenire”.

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