Un’associazione chiede una legge nazionale per la riparazione degli smartphone
È nata da poche settimana la prima associazione italiana per affermare il diritto alla riparazione degli oggetti elettronici e per promuovere la raccolta di dispositivi elettronici per la didattica a distanza: Circola.re. Una novità che punta a portare in Parlamento una proposta di legge nel giro di un anno per inchiodare i produttori di telefonia, tablet e computer. Tra i fondatori di Circola.re Fabian Thobe, fondatore della piattaforma Ricompro, che vende smartphone e dispositivi ricondizionati.
“Abbiamo deciso di strutturare tre cose: la donazione di dispositivi usati senza scopi di lucro; arrivare a una proposta di legge che renda obbligatoria la riparazione dei dispositivi elettronici; armonizzare gli standard di qualità dei ricondizionati per aumentare la fiducia delle persone in questi prodotti”, racconta Thobe.
“Il 52% degli italiani – spiega – ha in casa un cellulare o un computer perfettamente funzionante. Rimetterlo in circolo fa un gran bene all’ambiente perché si riducono sia le emissioni di CO2 sia le estrazioni di materie prime indispensabili per la realizzazione degli oggetti tecnologici. Quando i dispositivi vengono rivenduti sul mercato dei ricondizionati c’è anche un risparmio effettivo per chi compra e un guadagno per chi vende”.
La necessità di avvicinare gli attori della filiera per puntare dritto a una legge è nata perché “per avere un’economia circolare sull’elettronica servono tre cose: la gente deve sapere che può disfarsene degli oggetti, i dispositivi devono essere riparabili e i consumatori devono avere fiducia in ciò che acquistano. Se si raggiungono questi tre obiettivi si tagliano 2 miliardi di CO2 nel mondo – aggiunte il fondatore di Circola.re -. Ma oggi il ricondizionato cresce molto più lentamente dell’informatica di nuova produzione: se nel 2020 i computer hanno segnato il +20%, la scelta ricondizionata è cresciuta solo del 4%. Mancano coscienza e trasparenza”.
I rifiuti elettronici valgono 57 miliardi
Secondo il Global E-Waste Monitor del 2020 i materiali grezzi contenuti negli rifiuti elettronici valgono 57 miliardi di dollari nel mondo, di cui oltre 12 solo in Europa. Ogni cittadino genera 7,3 chilogrammi di rifiuti elettronici l’anno, ma nel giro di un decennio dovremmo poter raggiungere l’allarmante soglia dei 9 chili gettati senza troppa ragione. Attivare e promuovere meccanismi di economia circolare anche nel segmento dell’elettronica è fondamentale: oggi, certifica sempre il rapporto patrocinato dalle Nazioni Unite, nel mondo solo il 17,4% dei materiali viene effettivamente riciclato cioè 9,3 mega tonnellate su 53,6 mentre in Europa la percentuale sale al 42%.
In occasione della giornata mondiale per la riparazione, del 16 ottobre, l’associazione ha dato il via a un progetto di raccolta di dispositivi elettronici per la didattica a distanza. Si parte con Milano, Torino e Lodi in sette punti di ritiro, per dare vita nuova a ciò che solo apparentemente sembra uno scarto.
“I comparto dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee, ndr) – sottolinea Thobe – è quello che cresce più rapidamente: è assurdo”. Unificare gli standard dei ricondizionati e promuovere la cultura del riuso, imponendo prezzi equi per le riparazioni, sono solo una parte delle azioni che secondo l’associazione vanno intraprese per raggiungere soglie adeguate di circolarità.
“Oggi per cambiare una batteria i produttori di telefonia impongono rincari anche del 700% e chissà a che percentuali arrivano gli schermi. C’è anche un problema di regolazione europea che si muove troppo lentamente. Basti pensare alla direttiva sui cavi di ricarica che ha richiesto otto anni. E ora che si è arrivati a una richiesta di standardizzazione ci sono le levate di scudi dei produttori”, evidenzia Thobe. Infine, ragiona il fondatore di Circola.re, scommettere sul riciclo può essere la chiave per Paesi come l’Italia che rincorrono i big dell’industria informatica statunitensi e asiatici: “Qui – chiosa – i servizi per la riparazione sono l’unica maniera per creare posti di lavoro legati all’elettronica”.
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