Si apre il processo per l’omicidio di Giulio Regeni
Oggi, giovedì 14 ottobre, è cominciato il processo contro i quattro ufficiali dei servizi segreti egiziani accusati di aver rapito, torturato e ucciso il ricercatore italiano Giulio Regeni, dell’università di Cambridge. Il tribunale di Roma potrà finalmente dare il via alla prima udienza, cinque anni e mezzo dopo l’assassinio del giovane, durante i quali le autorità egiziane hanno tentato in vari modi di depistare e rallentare le indagini della magistratura. Mercoledì 13 ottobre, la presidenza del Consiglio dei ministri italiana ha annunciato che si costituirà parte civile nel processo, assieme alla famiglia Regeni.
Gli imputati sono il generale Tariq Saber, il colonnello Aser Ibrahim, il capitano Hesham Helmi e il maggiore Magdi Abd al-Sharif. Tutti sono stati accusati del sequestro aggravato di Regeni, mentre Sharif è accusato anche di “cospirazione per commettere un omicidio aggravato”. Il rapimento comporta una potenziale condanna fino a otto anni, mentre Sharif potrebbe ricevere l’ergastolo. Tuttavia, i quattro non saranno presenti in aula, perché l’Egitto ha rifiutato di riconoscere il processo a Roma e di comunicare i loro indirizzi ai magistrati, per evitare il loro giudizio.
Il primo ostacolo
La loro assenza in aula potrebbe sarà il primo problema da affrontare, perché secondo l’ordinamento giuridico italiano non è possibile giudicare un imputato che non sia a conoscenza delle sue accuse. Questa problematica era stata superata dal giudice per l’udienza preliminare Pierluigi Balestrieri lo scorso maggio. Secondo Balestrieri i quattro non possono non sapere di essere coinvolti nell’indagine, data al “copertura mediatica straordinaria” che ha reso l’omicidio di Regeni un “fatto notorio”. Pertanto il giudice ha autorizzato l’avvio del procedimento in contumacia, per “volontaria sottrazione al processo”. Tuttavia, se il tribunale di Roma dovesse stabilire la necessità di raggiungere gli imputati, il processo potrebbe essere sospeso.
In aula saranno invece presenti come testimoni tutti i presidenti del Consiglio italiani a capo del governo durante gli anni in cui si sono sviluppate le indagini. Quindi Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e Mario Draghi. Con loro compariranno anche tutti i ministri degli Esteri, i sottosegretari con delega ai servizi segreti e i più alti funzionari di intelligence italiani, chiamati dall’avvocata della famiglia Regeni in Italia, Alessandra Ballerini. Ballerini ha chiesto anche la presenza in aula del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, del figlio Mahmoud, e del ministro dell’Interno all’epoca dei fatti, Magdy Abdel Ghaffar, ma è altamente improbabile che i tre rispondano positivamente alla richiesta.
I depistaggi egiziani
Per le autorità egiziane, infatti, le indagini sull’omicidio del giovane ricercatore di 28 anni si sono concluse lo scorso hanno perché “l’autore dell’omicidio dello studente rimane sconosciuto”. Ma dal 2016, l’Egitto non ha fatto altro che depistare le indagini e fornire alla magistratura italiana prove vitali piene di inspiegabili “lacune” che le hanno rese di fatto inutili. Inoltre, le autorità egiziane hanno provato a fornire diverse e contrastanti giustificazioni per la morte di Regeni. Inizialmente la procura egiziana sostenne che Regeni fosse morto durante un incidente stradale, perché il corpo venne ritrovato in un fosso lungo la strada che conduceva alla sua abitazione.
Nel 2016, il governo egiziano ha annunciato di di aver trovato e ucciso i responsabili, sostenendo che fossero membri di una banda criminale specializzata nel fingersi agenti di polizia per sequestrare e rapinare cittadini stranieri, ricostruzione subito smentita per varie incongruenze. Poi nel 2017 l’Egitto ha ammesso che Regeni era stato posto sotto indagine dalla polizia, ma solo per 3 giorni. Infine, nel 2020, il governo egiziano ha fatto sapere che non avrebbe collaborato con l’Italia nel processo e che avrebbe processato per furto, ma non per omicidio, una presunta banda criminale che sarebbe stata responsabile dell’omicidio. Ricostruzione ritenuta “priva di ogni attendibilità” dalla Procura di Roma.
Le indagini della autorità italiana hanno invece condotto ai quattro ufficiali Tariq Saber, Aser Ibrahim, Hesham Helmi e Magdi Abd al-Sharif, tutti membri della potente National security agency (Nsa) egiziana che, secondo l’accusa, avrebbe intrappolato Regeni “in una ragnatela di sorveglianza”, nei mesi precedenti alla sua morte, mentre faceva ricerche sui sindacati del Cairo, un argomento ritenuto particolarmente sensibile dal governo egiziano.
Il caso Regeni è importante sia per i risvolti giuridici, che per i rapporti diplomatici tra Italia ed Egitto e sarà un’occasione per mettere a nudo la pervasività della sorveglianza dello stato egiziano sulla vita quotidiana delle persone. Fornendo anche una panoramica sul funzionamento interno delle pratiche della Nsa, un organismo specializzato nella sorveglianza politica, i cui metodi sono stati al centro delle critiche delle organizzazioni per i diritti umani, per la loro violenza e repressione delle attività politiche e della società civile.
Secondo la Commissione egiziana per i diritti e le libertà, un’organizzazione per i diritti umani con sede al Cairo e i cui avvocati rappresentano Regeni in Egitto, tra il 2015 e il 2020 ci sono stati 2.723 casi di sparizioni legate a motivazioni politiche. Inoltre, sempre secondo la Commissione, da quando Al Sisi è salito al potere nel 2014, i procedimenti giudiziari contro le forze di polizia sono stati estremamente rari e quelli contro i membri delle forze di sicurezza interna egiziane totalmente assenti.
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