Il piano della Cia per rapire e uccidere Julian Assange
“Wanted dead or alive”. Con questa frase da film western si potrebbe riassumere quanto emerso dai racconti di oltre trenta funzionari governativi a Yahoo news circa le intenzioni della Cia allora guidata da Mike Pompeo su Julian Assange. Rapire o uccidere, le due soluzioni contemplate.
Era il 2017 e Wikileaks aveva appena buttato la bomba definitiva sulla credibilità dell’agenzia statunitense con il leak di Vault 7, dove venivano descritti tool e trucchetti utilizzati dalla Cia per spiare computer, cellulari e persino smart tv. La rivelazione arrivava dopo diverse bordate portate negli anni precedenti al governo americano dall’organizzazione di Assange. Un’escalation di bordate: tra le rivelazioni di WikiLeaks fondata nel 2006, erano emersi dettagli sulla tortura di sospetti terroristi in “black site” della Cia come Guantanamo, cablogrammi sulle manovre oscure della diplomazia statunitense, le prove di crimini di guerra statunitensi in Afghanistan (Afghan war logs) e in Iraq (Iraq war logs), in particolare uccisioni di civili, tra cui due giornalisti dell’agenzia Reuters.
Tonnellate, anzi gigabyte, di materiale scottante che avevano imbarazzato l’amministrazione americana e fatto fremere le mani agli uomini di Langley, assetati di vendetta. Un “pensiero stupendo” che però fino allora si era scontrato, come rivelato a Yahoo dall’ex funzionario di controspionaggio William Evanina, con il muro opposto dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, timoroso di infrangere il primo emendamento che tutela la libertà di parola e stampa.
L’atteggiamento dell’amministrazione Obama inizia a cambiare, dice sempre Evanina, nel 2013, quando Wikileaks è accusata di aver organizzato la fuga di Edward Snowden, il contractor della Nsa che aveva rivelato le tecniche di spionaggio interno dell’agenzia di Fort Meade, da Hong Kong in Russia. A quel punto Obama si sarebbe deciso alla “raccolta” su Wikileaks, il che voleva dire molta più libertà di manovra per Cia e Fbi che non avevano bisogno di mandati di perquisizione o lettere alla sicurezza nazionale per ottenere documenti finanziari. Ma come riuscire a perseguire Assange senza rischiare di infrangere il primo emendamento? Semplice, usando le parole giuste.
“Mediatori di informazioni”
Questa semplice definizione avrebbe consentito alla Cia di perseguire Wikileaks senza rischiare di venir vanificati i propri sforzi come nel caso dei Pentagon Papers, – documenti diffiusi dal New York Times nel 1971 in cui venivano rivelati gli omicidi di massa commessi nella guerra del Vietnam – che Nixon cercò invano di bloccare, respinto dalla Corte Suprema. Gli ex funzionari della Cia raccontano a Yahoo News di averci provato: “Potevamo così mostrare a un tribunale che ci eravamo spinti a quel punto perché avevamo a che fare con agenti di una potenza straniera, non giornalisti”. Un tentativo di ridefinire Assange, ma anche lo stesso Glenn Greenwald del Guardian che aveva pubblicato le rivelazioni di Snowden, per consentire una più ampia libertà di movimento che però viene sonoramente bocciato dalla Casa Bianca.
La linea morbida dell’amministrazione Obama cessa nel 2016, quando Wikileaks pubblica le famose email del partito democratico hackerate dall’intelligence militare russa Gru sotto il nome di Guccifer 2.0, episodio che di fatto scredita Hillary Clinton agli occhi dell’America favorendo l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. Un terremoto che cambia le carte in tavola, togliendo di fatto qualsiasi supporto politico ad Assange, prima visto di buon occhio da parte dei democratici per aver smascherato le azioni poco limpide dell’amministrazione di George W. Bush. Con quel rilascio l’organizzazione di Wikileaks non si era soltanto inimicata la parte più progressista e liberale d’America ma aveva lasciato intendere una vicinanza alla Russia e alla sua intelligence che si era trasformata in una pistola fumante agli occhi dell’opinione pubblica. L’Nsa inizia a sorvegliare gli account Twitter dei sospetti agenti russi notando uno scambio di messaggi diretti con l’account di Wikileaks, anche se Assange negherà sempre qualsiasi rapporto.
Una congiuntura astrale
L’arrivo di Trump alla Casa Bianca, se da una parte poteva far presagire una linea morbida sull’organizzazione di Assange che involontariamente aveva favorito la sua ascesa ai danni di Hillary Clinton, di fatto si dimostra ancora più pericoloso per la sorte dell’attivista australiano, che nel 2017 si trovava nel suo quinto anno “ospite” dell’ambasciata ecuadoriana di Londra.
Come raccontano gli ex funzionari dell’agenzia a Yahoo, dopo il rilascio di Vault 7 la Cia inizia a pensare a soluzioni estreme. Un furioso Mike Pompeo, appena designato dal nuovo presidente a capo di Langley, comincia a definire pubblicamente Wikileaks ” un servizio di intelligence ostile non statale“. Parole scelte con cura perché permettevano di trattare l’organizzazione di Assange come un servizio di spionaggio avversario, permettendo intraprendere tutte le azioni di controspionaggio che questo comporta.
Gli agenti iniziano a monitorare le comunicazioni e i movimenti di membri del personale di WikiLeaks, nonché a sorvegliare lo stesso Assange. È in questo periodo che sui tavoli iniziano a circolare, secondo le dichiarazioni di quattro ex funzionari della Cia a Yahoo, diversi piani più o meno fantasiosi per il rapimento dell’attivista. Un’idea che secondo gli ex agenti era nell’aria ancora prima dell’arrivo di Pompeo ma che con Pompeo trovava terreno fertile, soprattutto dopo il rilascio di Vault 7, un episodio umiliante per l’agenzia che vedeva scoperte le proprie tecniche di spionaggio anche agli occhi dei servizi stranieri.
Rapimenti, sparatorie e incidenti d’auto
Tra le ipotesi di rapimento c’era il processo di rendition, ovvero catturare Assange e portarlo furtivamente negli Stati Uniti attraverso un paese terzo. Un’altra era quella di strapparlo all’ambasciata e consegnarlo direttamente alle autorità britanniche. Tutti tentativi che avrebbero violato la sacralità territoriale dell’ambasciata ecuadoriana, senza contare che sarebbe dovuto succedere a Londra, e non in un paese sudamericano o mediorientale, come sottolineano gli stessi ex agenti a Yahoo.
I piani iniziano ad assumere contorni addirittura cinematografici alla fine del 2017, quando agenti della Cia raccolgono rapporti allarmanti: ci sarebbe un piano dell’intelligence russa per per portare Assange a Mosca. Strani movimenti attorno all’ambasciata ecuadoriana fanno presagire il peggio e la Cia si vede pronta ad adottare le soluzioni più estreme. Gli scenari ipotizzati a quel punto, secondo tre ex funzionari, erano: potenziali scontri a fuoco con agenti del Cremlino per le strade di Londra, far schiantare un’automobile contro il veicolo diplomatico russo con Assange a bordo, sparare alle gomme di un aereo russo che trasportava Assange prima del decollo. Tra le opzioni contemplate sembra ci fosse anche quella di eliminare fisicamente l’attivista, come rivelato da un ex funzionario, ma Yahoo non ha potuto confermare questa ipotesi e altri funzionari hanno negato, così come lo stesso Trump in una dichiarazione a Yahoo.
Sete di vendetta
Tutti tentativi che avrebbero avuto un unico fine: vendetta. Perché è chiaro che qualsiasi azione il governo americano voleva mettere in atto o qualsiasi azione vorrà intraprendere una volta ottenuta l’estradizione, è guidata dal desiderio di vendetta, o “giusta punizione” come la chiamerebbero i sostenitori della linea dura. Una vendetta che ha già colpito Chelsea Manning, colpevole di aver trasmesso a Wikileaks il materiale su Iraq e Afghanistan, ma anche Joshua Schulte, accusato di aver fornito all’organizzazione i file di Vault 7 e incriminato con 14 capi d’accusa, tra cui la detenzione di materiale pedopornografico trovato negli hard disk durante la perquisizione: quando si dice la “serendipità”.
Misure estreme che nel caso dell’attivista australiano, oltre a infangare il primo emendamento, avrebbero poco senso. Né Assange né la sua organizzazione rappresentano infatti oggi una minaccia seria per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, che si trovano a fronteggiare ben altri pericoli da criminali state-sponsored e attacchi da servizi stranieri come il Gru. Il desiderio di vendetta potrebbe costare caro agli occhi dell’opinione pubblica: Assange infatti per molti si è vestito dei panni di un’icona immortale. L’icona della libertà.
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