Non ci possiamo accontentare solo di una firma. O di 500mila
Nelle ultime settimane due referendum (eutanasia e cannabis) hanno raggiunto le 500mila firme necessarie per depositare i quesiti in Cassazione. Con il referendum sull’eutanasia si intende chiedere ai cittadini se vogliono o meno che diventi legale in Italia, mentre quello sulla cannabis interrogherà su “depenalizzare la condotta di coltivazione” ed “eliminare la pena detentiva per qualsiasi condotta illecita relativa alla cannabis, con eccezione della associazione finalizzata al traffico illecito”.
Chi scrive ha firmato per entrambi i referendum perché si augura che l’eutanasia possa finalmente diventare legale in Italia e che si depenalizzi tutta una serie di reati legati al possesso e consumo di cannabis. L’ho fatto con la firma digitale (cioè una firma “autenticata” attraverso diversi strumenti: il più comune è il Sistema Pubblico di Identità Digitale, Spid). Firmare per i referendum per via telematica è possibile da luglio grazie un emendamento al decreto Semplificazioni.
Non possiamo sapere con certezza quanto sarebbe stata veloce la raccolta di adesioni senza la firma digitale, ma è ragionevole pensare che la rapidità con cui si è arrivati al numero richiesto di firme – 500mila, appunto – sia in gran parte dovuto a questa nuova modalità.
È un successo o un passo in avanti per la democrazia? In molti – tra cui ovviamente gli storici promotori dell’istituto referendario (i Radicali e i “figli” di quella cultura) – lo stanno sostenendo in questi giorni. Intanto è bene sottolineare che stiamo parlando di “raccolta firme” e non ancora di “voto elettronico” che come stabilito dal Governo attuale verrà sperimentato e simulato.
Tornando alle firme, sicuramente dare la possibilità a chi, per esempio, è molto lontano da un banchetto fisico per la raccolta delle firme è un fatto positivo. Lo stesso discorso vale per chi, come alcuni disabili, è impossibilitato ad andare a firmare. Si tratta quindi di un passo avanti per la semplificazione, indubbiamente. Ma è più difficile sostenere che questo migliorerà la qualità della democrazia. Per tante ragioni.
La prima la stiamo vedendo in questi giorni. Si stanno infatti moltiplicando le raccolte di firme, dalla cancellazione del green pass all’abolizione della caccia, fino a quelli sulla giustizia. Se raccogliere firme sarà sempre più facile esiste un rischio di aggravare ancora di più la macchina burocratica italiana.
Esiste poi una sorta di illusione ottica: raccogliere le firme non significa “aver vinto”; va ricordato che dal 2000 a oggi il quorum – necessario per i referendum abrogativi – è stato raggiunto solo una volta, 10 anni fa. Non solo. Raccogliere le adesioni necessarie non porta automaticamente al referendum. Deve prima esprimersi la Cassazione per valutare la ammissibilità (costituzionale) dei quesiti.
Per questo si potrebbero ripensare alcuni meccanismi. Maurizio Turco, segretario del Partito radicale, ha dichiarato al Corriere della Sera: “Anticipiamo il vaglio di costituzionalità dopo la raccolta di un certo numero di firme. Arrivati a 50 mila, diciamo, si verifica se il referendum è ammissibile. Se sì, la campagna può proseguire; e no, si ferma tutto. Bisogna stare attenti a non ingenerare false attese nei cittadini con richieste che magari ottengono centinaia di migliaia di adesioni e poi si rivelano incostituzionali”.
Prima di festeggiare per una democrazia più partecipata è quindi giusto analizzare tutte le questioni aperte che la “rappresentanza digitale” porta, non tanto per il voto ma per la possibilità di portare in parlamento o far diventare legge questioni spesso affrontate con la democrazia rappresentativa e non con quella diretta. Come sottolineato dal direttore di Questione Giustizia, Nello Rossi, a proposito delle firme digitali dei referendum: “Sul versante politico la prima constatazione è che le iniziative referendarie e di presentazione di progetti di leggi di iniziativa popolare potranno divenire appannaggio anche di esigue minoranze. Così subirà trasformazioni profonde il rapporto tra le forze politiche, sindacali o sociali dotate di una solida organizzazione e di una forte rappresentatività e i gruppi minoritari o i settori delle élite che avranno più facile accesso alle procedure di democrazia diretta. Più in generale risulterà sottoposto a forti tensioni il delicato equilibrio tra le istituzioni della democrazia rappresentativa e le forme di democrazia diretta delineato dalla Costituzione”.
Insomma, non è facile dire oggi con certezza che democrazia e società beneficeranno delle firme digitali per i referendum. Certo, la semplificazione di alcuni processi è un fatto indiscutibilmente positivo. Ma continuo a pensare che la democrazia possa godere dei vantaggi del digitale soprattutto rendendo consapevoli i cittadini delle loro scelte, quindi aumentando la conoscenza e la trasparenza. Non ci possiamo accontentare di solo di un voto, di una firma, o di 500mila.
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