Nel 2020 sono stati uccisi quattro attivisti per l’ambiente a settimana

(Foto: CPL Sam Shepherd/NZ Defense Force)
(Foto: CPL Sam Shepherd/NZ Defense Force)

Il 2020 ha raggiunto il triste record dell’anno con il maggior numero di omicidi di persone impegnate nella difesa dell’ambiente e della terra in otto anni. Sono state 227 le morti, quattro a settimana, secondo quanto rivela un nuovo rapporto pubblicato da Global Witness, organizzazione non governativa internazionale che dal 2012 raccoglie i dati sulla repressione ambientale.

Gli omicidi, 15 più del 2019, riguardano soprattutto persone impegnate nella difesa della terra: un terzo delle vittime, infatti, si contrapponeva all’attività mineraria, a impianti idroelettrici, progetti di agribusiness e disboscamento. Il numero totale di morti costituisce comunque una sottostima vista la difficoltà di raccogliere informazioni da ogni parte del mondo e far emergere la situazione critica di alcuni paesi rispetto ad altri. Circa la metà degli omicidi, oltre cento, è avvenuta in soli tre paesi: Colombia, Filippine e Messico

In particolare, la Colombia risulta essere il paese più pericoloso dal punto di vista della difesa ambientale, con 65 omicidi che la piazzano al primo posto (come nel 2019). In Messico sono stati contati 30 omicidi di questo tipo nel 2020, un +67% rispetto all’anno precedente, mentre nelle Filippine le morti violente legate all’impegno per la terra e l’ambiente sono state 29, parte di una striscia di sangue cominciata nel 2016 con la prese del potere del presidente Rodrigo Duterte che ha fatto segnare 116 omicidi in cinque anni.

Le popolazioni indigene a rischio

Come emerge dal rapporto, tra i soggetti più vulnerabili quando si tratta di difesa dell’ambiente ci sono le comunità indigene, che costituiscono un terzo delle vittime totali del 2020. Gli attacchi avvengono soprattutto nell’ambito della difesa delle foreste dall’opera di disboscamento, con il taglio illegale di alberi che è la prima voce per quanto riguarda gli omicidi di chi vi si oppone. I paesi maggiormente coinvolti in questo senso sono proprio quelli dell’America latina. In Messico la metà delle uccisioni ha riguardato persone indigene, in Brasile diversi leader locali hanno pagato con la vita il loro attivismo ambientale: solo nei primi mesi del 2020 sono stati uccisi in sei. Tra questi Zezico Guajajara, tra le figure di spicco del popolo Guajajara, che da tempo era attivo nella lotta al disboscamento anche attraverso un apposito corpo di sorveglianza forestale indigeno.

Ma non c’è solo la difesa dal disboscamento all’origine dell’infinita strage indigena. Alla fine dello scorso dicembre nove indigeni Tumandok sono stati brutalmente uccisi dalla polizia sull’isola di Panay, nelle Filippine, a causa della loro attività di boicottaggio di una diga in costruzione presso i loro territori. In generale, nel corso del 2020 cinque delle sette stragi ai danni di difensori ambientali in giro per il mondo hanno riguardato persone appartenenti a comunità indigene. 

L’impegno della COP26

Il 31 ottobre a Glasgow avrà inizio la Conferenza dell’Onu sul cambiamento climatico (Cop26), un consesso che vedrà riuniti quasi 200 leader globali. Gli attivisti di Global Witness hanno segnalato l’urgenza che tra le altre cose si discuta anche del cronico incremento di attacchi letali a danno dei difensori della terra e dell’ambiente, perché si garantisca a questo tipo di attivismo una maggiore tutela in quanto necessaria per il futuro del Pianeta

I governi troppo spesso sono attivamente complici della distruzione ambientale, sostenendo pratiche aziendali di greenwashing e finanziando nuovi progetti di combustibili fossili che il nostro pianeta non può permettersi”, ha sottolineato l’organizzazione, che addossa ai governi anche la responsabilità di “non proteggere coloro che si oppongono alle industrie che devastano il clima in tutto il mondo”. Da qui la richiesta che proprio in occasione della Cop26 di Glasgow si prenda un impegno condiviso per mettere fine agli omicidi degli attivisti ambientali e per consegnare alla giustizia chi si macchia di questi reati. Una richiesta che è stata accolta da Alok Sharma, presidente della Conferenza dell’Onu, che ha promesso che il tema sarà al centro dell’agenda e che sarà assicurato un contatto diretto con le persone in prima linea nelle lotte ambientali così da dare risonanza alle loro voci.

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