Chi ha vinto davvero nello scontro tra Apple ed Epic Games?

(Photo by Budrul Chukrut/SOPA Images/LightRocket via Getty Images)

No, Apple non deve aprire i suoi telefoni ad App Store alternativi. La giustizia degli Stati Uniti venerdì 10 settembre ha messo il primo paletto alla causa iniziata poco più di un anno fa tra Epic Games e Apple. Apple ha vinto contro nove dei dieci ricorsi dei creatori di Fornite, soprattutto nella parte in cui viene stabilito che l’App Store di Apple non costituisce un monopolio e che tutte le app di terze parti devono passare attraverso il procedimento di approvazione stabilito da Apple (le famose “linee guida”), mentre ad Epic Games è stato riconosciuto il diritto di comunicare dall’interno della propria app con i propri clienti per informarli dell’esistenza di altri modi per pagare i cosiddetti acquisti in-app.

Questo è un risultato dall’impatto minimo per Apple tanto che anche i creatori di Fortnite non sono soddisfatti. Per questo Epic Games ha deciso di presentare ricorso in appello. Tuttavia il sistema legale statunitense è diverso da quello italiano e l’appello civile qui non è da intendersi come un nuovo processo in aula, bensì come una revisione, da parte di tre giudici, della correttezza del lavoro della giudice Yvonne Gonzalez Rogers. L’appello insomma si svolge sulla “carta” perché di regola non si possono presentare nuove prove. Solo in determinati casi la corte d’appello statunitense può ordinare che si svolga da zero un nuovo processo.

Chi ha vinto veramente?

Apple ha fatto sapere di ritenere quella di venerdì scorso una sua netta vittoria e che il punto perso è praticamente irrilevante perché è già prevista dalle nuove linee guida per le app cosiddette “reader” la possibilità di inserire un link verso il sito dello sviluppatore dove siano presenti metodi di acquisto alternativi. Apple inoltre non ha ancora detto se a sua volta vuole presentare un appello limitatamente a quel punto.

Invece per Epic Games vale di più la battuta di Gino Bartali: “È tutto sbagliato, è tutto da rifare“. L’azienda ha già deciso di presentare appello e lascia intendere che sarà ancora più agguerrita. Va detto che già adesso la mole di carte in formato elettronico ottenute nei mesi scorsi tramite il procedimento di discovery dai server di Apple è enorme: decine di migliaia di email e altri documenti. Difficilmente mancheranno delle informazioni all’appello.

Il vero problema

Negli Stati Uniti e in Europa però i commentatori si stanno dividendo sull’interpretazione “di fino” della sentenza. Gonzalez Rogers infatti non ha chiuso la porta all’argomentazione che Apple sia una monopolista, ma ha stabilito che ancora non controlla un mercato sufficientemente ampio per esserlo e che i concorrenti stanno crescendo.

Questo basta per indurre alcuni a rafforzare la propria opinione che Apple sia “un po’ monopolista“. Adesso bisognerà in realtà vedere quale posizione verrà presa dalle autorità antitrust internazionali e dai legislatori europei, statunitensi e nel resto del mondo, che stanno preparando una nuova ondata di normative per limitare l’esercizio dell’enorme potere che hanno i gestori delle grandi piattaforme digitali come Amazon, Facebook, Microsoft e Google, e che potrebbero riguardare anche lo store di Apple.

Quello che sicuramente non succederà 

La sentenza americana però mette il punto fermo (almeno per ora: mai dire mai in un tribunale) a una serie di vicende che tenevano molti con il fiato sospeso: Apple dovrà permettere la possibilità di caricare app sui suoi telefoni e tablet anche al di fuori del suo App Store? Dovrà permettere l’apertura di “store dentro lo store”, cioè app store di terzi scaricabili come app dell’App Store (se sembra di leggere un pezzo della trama di Inception è perché è veramente così complicato)? E infine, dovrà ammettere dentro l’iPhone sistemi di pagamento alternativi a quello di Apple?

La risposta adesso è un fermo no. E Apple pare intenzionata a gestire solo il sistema dei link verso i metodi di pagamento esterni ma non di accettarli direttamente nello store. Tuttavia, ancora non è stato definito come dovrà essere fatto il link verso l’esterno: il giudice ha dato 90 giorni di tempo ad Apple ma ancora non ha spiegato quali limiti dovrà avere e probabilmente ci sarà un chiarimento più avanti. Questo è l’unico passaggio ritenuto ancora critico dalle parti.

Questo stesso punto permette di chiarire un altro aspetto del giudizio del tribunale: Apple ha cacciato Fortnite dall’App Store rimuovendo il certificato dello sviluppatore e adesso è chiaro che Epic Games non ha diritto legale a riaverlo. L’azienda è ancora “fuori” dallo store. Inoltre, dovrà risarcire Apple di alcuni milioni di dollari (bruscolini, in effetti, ma il punto legale rimane) ottenuti dal sistema di pagamento alternativo attivato su Fortnite, l’Epic Direct Payment che è stata in effetti la causa originale della rimozione del gioco dallo store.

Le conseguenze della sentenza

Quale sarà l’impatto economico per Apple? Ancora non si sa cosa succederà sul mercato. Sappiamo che il giudice ritiene corretto che Apple mantenga il sistema delle percentuali attuali nello store: 30% sul prezzo delle app per i grandi, 15% per i piccoli. Il 98% degli sviluppatori sullo store sono piccoli o piccolissimi e non si sa quali saranno le loro reazioni.

Se Epic Games veleggia verso l’appello, ora Apple deve decidere se cogliere l’occasione della sentenza, che potrebbe farle gioco nelle audizioni e nelle attività di lobby davanti ai legislatori internazionali, cambiando ancora più radicalmente le regole del suo store, oppure fare una resistenza passiva e cedere terreno solo se e quando sarà obbligata a farlo? Poiché, come si legge dai bilanci dell’azienda, il core business di Apple è la vendita diretta dei suoi prodotti (più di tre quarti del fatturato viene dall’hardware), allora Apple potrebbe ben cambiare la struttura del funzionamento dell’App Store prima che un nuovo giudice o un commissario antitrust decida di volerlo fare.

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