Facciamo chiarezza sulla sentenza della Corte di Cassazione sul crocifisso a scuola

crocefissoOggi il dibattito italiano è tutto un pullulare di crocifissi. I media generalisti, la politica sovranista, gli organi ecclesiastici rilanciano con una chiave di lettura univoca la notizia della sentenza con cui la Corte di Cassazione si è espressa sull’infinita questione dell’affissione della croce cristiana nelle aule scolastiche, uno di quei temi che ritornano ciclicamente e che sembrano non trovare mai soluzione.

“Chi arriva in Italia e appartiene a una religione diversa deve rispettare i nostri simboli cristiani”, twitta a corredo della sentenza l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Raffaele Fitto, “La Storia, identità e tradizione culturale di un Paese non si possono cancellare”, tuona l’ex ministro leghista della Famiglia Lorenzo Fontana, “La decisione della Suprema Corte rigetta una visione laicista della società”, si compiace monsignor Stefano Russo della Conferenza episcopale italiana (Cei), mentre i titoli di giornali spaziano da “Sì al crocifisso”, a “Il crocifisso non discrimina nessuno”, passando per “La croce che unisce”.

A vedere la narrazione odierna sembrerebbe insomma che la presenza del crocifisso a scuola abbia incassato l’ennesima conferma senza se e senza ma e che chi rivendica una separazione tra stato e chiesa e chieda spazi educativi privi di simboli religiosi dovrà ancora condurne di battaglie per poterla spuntare. Eppure le cose non stanno proprio così e quanto stabilisce la Corte di Cassazione costituisce sì una piccola rivoluzione, ma proprio in chiave di laicità dello stato e di uguaglianza religiosa.

La croce non discrimina, ma…

Tutto inizia nel 2015 in un istituto professionale di Terni. Da una parte un dirigente scolastico che ordina l’affissione del crocifisso in aula sulla base di una delibera votata a maggioranza dall’assemblea di classe degli studenti, dall’altra un professore che ritiene quello stesso crocifisso contrario alla libertà di coscienza e lo toglie dalla parete ogni volta che c’è la sua ora di lezione. Un atto punito dal preside con un mese di sospensione dell’attività di insegnamento e dello stipendio, a cui segue il ricorso in tribunale del docente per ottenere un risarcimento causa discriminazione.

Per deliberare sul caso, la Corte ha analizzato la compatibilità tra la norma fascista degli anni Venti sulla presenza della croce cristiana in aula (che tuttora regola la questione vista l’assenza di una legge parlamentare) e la Costituzione italiana, stabilendo che la prima “può essere interpretata in senso conforme” alla seconda. La conseguenza per i giudici è che il crocifisso può venire esposto in classe e che la sua affissione non costituisce un atto di discriminazione nei confronti del professore, motivo per cui non è stato disposto alcun risarcimento.

Fitto, Fontana la Cei e via dicendo avevano ragione a esultare, verrebbe da dire. Invece c’è un altro pezzo della sentenza che è stato ignorato dai più e che ha portato perfino l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar) a salutare con soddisfazione la pronuncia.

Imporre il crocifisso è contro la laicità dello Stato

Secondo i giudici, la circolare con cui il dirigente scolastico di Terni aveva ordinato l’affissione del simbolo religioso “non è conforme al modello e al metodo di una comunità scolastica dialogante che ricerca una soluzione condivisa nel rispetto delle diverse sensibilità”. In parole povere, un preside o chi per lui non può imporre la presenza di un crocifisso in aula, che semmai deve essere il risultato di una valutazione e una decisione condivisa e fatta autonomamente dalle singole classi e che vale anche per i simboli di altre confessioni. 

Cadono insomma in un colpo solo l’imposizione e l’esclusività del crocifisso, al punto che d’ora in poi – in caso di accordo della comunità scolastica – si potranno avere aule con altri simboli religiosi ma non con quello cristiano per eccellenza. Qualcosa di molto distante dallo storytelling sovranista e religioso di queste ore, che racconta di una sentenza che sancisce la vittoria delle “nostre tradizioni” sulle altre e il rigetto di una visione laicista della società.

Al contrario, le sezioni unite civili della Corte scrivono che “l’esposizione autoritativa del crocifisso nelle aule scolastiche non è compatibile con il principio supremo di laicità dello Stato. L’obbligo di esporre il crocifisso è espressione di una scelta confessionale. La religione cattolica costituiva un fattore di unità della nazione per il fascismo; ma nella democrazia costituzionale l’identificazione dello Stato con una religione non è più consentita”.

Difesa della laicità dello stato, equiparazione del crocifisso alla restante simbologia religiosa e libertà di scelta delle singole comunità scolastiche, purché condivisa, su come comportarsi al riguardo: ecco la piccola rivoluzione introdotta dai giudici della Corte di Cassazione. Per quanto riguarda il professore, oggi raccontato come lo sconfitto della sentenza per il mancato risarcimento ottenuto, in realtà i giudici sottolineano che la scuola doveva ricercare una soluzione che tenesse conto del suo punto di vista e che rispettasse la sua libertà negativa di religione. Per questo motivo è decaduta la sanzione disciplinare di sospensione per 30 giorni di insegnamento e stipendio, un elemento che, non punendolo, valida l’atto di rimozione del crocifisso.

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