Gli oggetti quotidiani simbolo di ecosostenibilità sono davvero green?

Dalle shopping bag di cotone ai monopattini, ci sono alcuni oggetti considerati simboli di ecosostenibilità che potrebbero non essere così green. Riducono gli sprechi e le emissioni di CO2 mentre li usiamo, vero, ma per valutare il loro impatto sull’ambiente bisognerebbe avere una visione più generale del loro ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento. Già, anche le sporte per la spesa riutilizzabili, considerate una manna per limitare l’uso di sacchetti usa e getta di plastica (anche biodegradabile), devono essere prodotte in qualche fabbrica. E, secondo uno studio, bisognerebbe usare ogni borsina ventimila volte per compensarne l’impatto totale.
Questo non significa, lo sottolineiamo con forza, che non si debbano più usare le sacche di cotone per andare al mercato o lo spazzolino di bambù per lavarsi i denti. Scegliere di porre un limite al proprio consumo di plastica usa e getta, infatti, è un primo passo verso le tutela dell’ambiente. Però è utile farsi qualche domanda sulle origini dei prodotti che decidiamo di usare in un’ottica di sostenibilità: il fatto che i piatti e i bicchieri del picnic siano di bioplastica, per esempio, non significa che ne dobbiamo usare dieci di fila a cuor leggero. Altrimenti rischiamo il greenwashing (si chiamano così le operazioni fatte dalle aziende per essere percepite come più sostenibili, ma che spesso hanno un impatto relativo) delle buone intenzioni.
Che i sacchetti di plastica monouso siano fonte di inquinamento è abbastanza immediato da capire: basta vedere le sporte abbandonate sulle spiagge o nei parchi per porsi delle domande. La soluzione per limitarne l’uso è optare per borse che possano essere riutilizzate più volte: le cosiddette shopping bag. Fatte di cotone o di altri materiali (dalla canapa alle bottiglie di Pet riciclate), possono essere usate infinite volte. Tutto a posto, quindi? Secondo uno studio danese del 2018 ogni sacchetto di cotone dovrebbe essere riutilizzato circa ventimila volte (che significa circa ogni giorno per 54 anni) per compensare il suo ciclo vitale.
Il cotone infatti richiede, per esempio, parecchia acqua per essere prodotto (secondo The Circular Laboratory dai diecimila ai ventimila litri per chilo) e riciclare quello delle shopping bag, spiega il New York Times, può non essere così semplice perché spesso le aziende che le distribuiscono le decorano con loghi a base di pvc che non possono essere riciclati. E poi c’è il problema della sovrapproduzione: se guardate nei cassetti e negli armadi di casa probabilmente vi accorgerete di averne accumulate decine e decine negli anni. Io l’ho fatto poche settimane fa e ho riempito un intero sacchetto di sacchetti, che ora vorrei donare a qualche associazione che si occupa di persone fragili e migranti, a cui magari potrebbero tornare utili.

Questo non significa che le shopping bag siano il male assoluto. Ma che, come in tutto, serve buon senso. Magari evitando di comprane una nuova perché ha un disegno tanto carino o preferendo quelle fatte con materiali riciclati anziché con cotone biologico prodotto ad hoc. E, soprattutto, riutilizzando quelle che già sono in casa, ricordandosi di lavarle ogni tanto. Le borse di cotone non sono l’unico prodotto che consideriamo sostenibile senza se e senza ma che potrebbe non essere green quanto pensiamo. Anche i monopattini elettrici, ultimo baluardo della micromobilità contro traffico e inquinamento da automobili, sollevano qualche domanda, come sottolinea un recente studio cinese.
In particolare sono le batterie a rischiare di avere un impatto pesante: non solo perché il litio, il materiale con cui sono fatte (che serve anche per le auto elettriche e gli smartphone, per dire), arriva spesso da paesi in cui i lavoratori non hanno alcun tipo di tutela e non è così semplice da smaltire. Ma anche perché le batterie vanno caricate con corrente elettrica (ovvio) che ha a sua volta un impatto. E se non sono performanti, per esempio perché sono vecchie o vengono usate male, si rischiano sprechi. Anche in questo caso, come con le shopping bag, può essere utile porsi qualche domanda, scegliendo per esempio aziende che riciclano le batterie (sono molte quelle che lo fanno) e curando il proprio e-monopattino con la giusta attenzione, per evitare che la batteria perda capacità di carica.
Interessante è anche la questione sollevata da un report dell’Environment Agency inglese di qualche anno fa sui pannolini lavabili, fatti in tessuto. Secondo lo studio, sono davvero più sostenibili della classica versione in plastica usa e getta solo se per lavarli vengono usate lavatrici con una classe di efficienza energetica alta. Altrimenti tra acqua, corrente e detersivo va a finire che i pannoloni riutilizzabili sono appena più green di quelli di plastica che finiscono in pattumiera.

Altro discorso quello che riguarda il bambù, considerato un materiale eco-friendly emergente e che oggi viene impiegato sempre più spesso, dagli spazzolini ai calzini. È vero che cresce in modo molto veloce e che non richiede l’uso di pesticidi nella coltivazione, ma per trasformare le canne bisogna usare ovviamente prodotti chimici. E questo avviene spesso in Cina, dove le regole non sono così cristalline.
Nel caso specifico degli spazzolini di bambù (ora li propongono, al supermercato, anche produttori storici dell’igiene orale) c’è poi la questione delle setole, che sono solitamente fatte di nylon, anche ci sono alcuni modelli con setole di maiale. Vanno quindi separate dal manico prima di buttare via il tutto e non possono essere riciclate. Per questo molti suggeriscono di optare per gli spazzolini di plastica, meglio se riciclata, con la testina che si toglie e può essere sostituita. Il manico dura potenzialmente per sempre e le setole hanno, per esperienza, una resistenza e quindi una durata migliore.
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