Parte il faccia a faccia per decidere dove sorgerà il deposito nazionale delle scorie nucleari
![Scorie nucleari (Getty Images)](https://images.wired.it/wp-content/uploads/2018/04/04135342/1522835622_nuke1.jpg)
Scatta l’ora del faccia a faccia sul progetto del futuro deposito nazionale delle scorie nucleari. Ossia l’impianto dove l’Italia stoccherà circa 95mila metri cubi di rifiuti radioattivi, tra scarti della filiera dell’atomo ormai dismessa e scorie dalla medicina nucleare e dall’industria.
Sogin, la società pubblica incaricata del decommissioning nucleare, ha avviato oggi il seminario nazionale, una fase di consultazione pubblica che durerà fino a fine novembre per rispondere a domande e dubbi di quei territori che, sulla carta, hanno caratteristiche adatte per ospitare il deposito delle scorie e persuaderne almeno uno ad autocandidarsi per la costruzione, che costerà 900 milioni di euro e durerà quattro anni.
Il deposito nazionale
Il seminario nazionale è una delle fasi più delicate del processo per individuare il luogo dove sorgerà l’impianto di stoccaggio. l’Italia ha accumulato anni di ritardi e solo lo scorso 5 gennaio, come un fulmine a ciel sereno, è stata pubblicata la mappa secretata dal 2015, con la quale sono stati identificati 67 siti in Italia ritenuti adeguati per la costruzione del deposito (detta Cnapi, carta delle aree potenzialmente idonee) tra Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna.
Senza un’autocandidatura, toccherà ai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico decidere dove collocare l’impianto. Un processo che a Roma si vuole scongiurare, visto la scarsa popolarità dell’infrastruttura, benché gli esempi nel resto d’Europa, come quello di Aube in Francia o Cabril in Spagna, dimostrino che questi impianti possono convivere con agricoltura tradizionale e turismo (quello francese è nella regione dello Champagne) o con oasi naturali (nei cui pressi sorge quello iberico).
Nel deposito saranno stoccati 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e molto bassa intensità e temporaneamente i 17mila a media e alta intensità, in attesa che a livello europeo si costruisca un impianto centralizzato. Il deposito occuperà 150 ettari e sarà composto da novanta costruzioni in calcestruzzo armato, dette le celle, che a loro volta conterranno i moduli in cemento, dove saranno collocati i contenitori di metallo con i rifiuti. Un sistema a matrioska per sigillarli per i successivi 300 anni. Sorgerà anche un parco tecnologico per la ricerca e lo studio sui rifiuti nucleari. I lavori impiegheranno quattromila persone e 700 l’impianto.
Le tappe del seminario
Dopo l’incontro di apertura, il seminario proseguirà con una prima sessione nazionale (14 settembre) e poi con gli incontri dedicati alle regioni coinvolte: Sicilia (15 settembre), Sardegna (28), Basilica e Puglia (26 ottobre), Toscana (3 novembre), Lazio (9), Piemonte (15). Il 24 novembre si chiudono i lavori. Se le giornate regionale non saranno sufficienti, si proseguirà con gli incontri il giorno successivo per cercare di dare spazio a tutti gli interventi.
Il 15 dicembre, come ha spiegato l’amministratore delegato di Sogin, Emanuele Fontani, saranno presentati “i risultati del seminario“, che si sommeranno alle “oltre 300 osservazioni e proposte di modifica” già pervenute alla società pubblica. A quel punto Sogin dovrà fare una ulteriore scrematura dei territori candidati, arrivando a una nuova mappa: la Cnai, la carta delle aree idonee. Quello sarà la rosa finale dei siti tra cui pescare il futuro indirizzo del deposito nazionale.
La Cnai dovrà ottenere il semaforo verde dei ministeri impegnati nel decommissioning nucleare (Sviluppo economico e Transizione ecologica) e dell’Isin, la nuova autorità di controllo per l’atomo. In particolare, come ha spiegato il direttore Maurizio Pernice, Isin dovrà revisionare osservazioni e documenti pervenuti a Sogin e “verificare l’omogeneità dell’applicazione a livello nazionale” per arrivare alla rosa dei siti idonei. A quel punto si apriranno le trattative con i territori, se non ci sarà un’autocandidatura a risolvere definitivamente la questione.
Le incognite
Il percorso è tutt’altro che in discesa. L’annuncio delle 67 aree contenute nella Cnapi ha provocato un’alzata di scudi da parte dei territori. È stato necessario votare in Parlamento una proroga dei tempi per consegnare le controdeduzioni di sindaci e Comuni, tra i quali vi è chi ritiene di avere motivi fondati per non essere incluso nella Cnapi. La carta di fatto contiene tutte quelle aree che non sono state escluse dai criteri di selezione individuati nel 2014 e rivisti nel 2019. Ora il confronto sarà vis-à-vis. I portavoce dei territori avranno dieci minuti di tempo e 5 slide a disposizione per intervenire, anche se altre osservazioni potranno essere spedite via email.
Poi c’è il ruolo dell’Isin. L’agenzia di sorveglianza lamenta che il personale in forze è inferiore alle previsioni (65 persone contro le 90 attese) e troppo vicino alla pensione (12 vi andranno entro il 2021). Per Sogin, che ha già accumulato ritardi sul suo piano di smantellamento, l’Isin rischia di essere l’ennesimo collo di bottiglia quando verrà l’ora di validare la Cnai. Fino al 2024 calcola di dover dare 119 via libera ai lavori, in alcuni casi di pratiche che viaggiano dal 2012 o 2014.
Infine, c’è l’incognita politica. L’Italia deve sciogliere da anni il nodo del deposito, ma i governi hanno traccheggiato e la Cnapi è rimasta sotto chiave dal 2015. Ora il processo si è sbloccato ma non vi è certezza che, con altri assetti al timone del Paese, non si possa arrestare di nuovo. Con tutti i rischi che questo comporta: tenere i rifiuti sparpagliati in 20 depositi temporanei; vedersi rifiutare da Paesi esteri la disponibilità a ospitare le scorie italiane temporaneamente (come ha fatto la Francia con 13 tonnellate di rifiuti dal deposito di Avogadro, in Piemonte); non completare le bonifiche dei siti inquinati (Sogin oggi ha un budget di 7,89 miliardi e prevede di chiudere le operazioni nel 2036). Per questo chi è addentro alla partita sa che il seminario è più di un passaggio formale. Solo un buon confronto con i territori potrà gettare le fondamenta per sbloccare la scelta del sito del deposito nazionale già nel 2022. Altrimenti si rischia un braccio di ferro infinito.
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