I paradossi delle criptovalute in Africa
Le transazioni di criptovalute stanno crescendo rapidamente in Africa. Per un popolo giovane e nativo digitale (1,4 miliardi di persone, destinati a diventare 2,5 miliardi entro il 2050) e che già da tempo utilizza largamente denaro online, con applicazioni come M-Pesa (di proprietà di Vodafone, e sponsorizzata tra il 2003 e il 2008 dal Regno Unito) le monete elettroniche offrono vantaggi enormi.
Trasferire denaro in forma di criptovalute è molto più economico rispetto all’uso di intermediari come Western Union o Moneygram, che applicano fee che possono raggiungere il 10%. Secondo i dati delle Nazioni Unite, l’Africa ha conosciuto la più grande diaspora dal 2010 a oggi, con una crescita media del 50% degli emigranti dai Paesi sub-sahariani. A questo consegue che il mercato del denaro inviato alle famiglie in Africa, da chi si è stabilito altrove, fa registrare cifre interessanti. Oltre 50 miliardi di dollari in criptomonete, contribuendo a far risparmiare almeno 2 miliardi di dollari in costi di transazione.
Sono tre le caratteristiche principali di questo settore in relazione all’Africa: il paradosso dell’elettricità, i tassi di inflazione, che da anni falcidiano la crescita di questo Continente, e la situazione politica.
L’energia ha il suo prezzo
Il costo dell’elettricità è un fattore chiave nel mondo delle criptovalute. La corrente elettrica serve per “minare”, ossia per estrarre le monete. Per esempio, oggi per minare 1 bitcoin (che ora vale poco più di 38mila euro) in 10 minuti servono 20 gigawatt di elettricità. Un asciugacapelli sfrutta 1.500 watt. Minare in Italia 1 bitcoin costerebbe 10 mila euro, in Venezuela circa 500 euro, mentre in Corea del Sud sui 25mila.
E in Africa? Ecco il paradosso: nel continente manca corrente elettrica e quella che c’è costa cara. È qui che entrano in gioco le potenze mondiali come Cina (dove è in corso una fuga dei “minatori”, facendo passare la quota di hashrate per il mining a livello globale dal 75,5% al 46% nel giro di sette mesi) e Stati Uniti, ma non solo.
L’Africa è la nuova frontiera da conquistare per i colossi dell’energia: gli altri mercati sono ormai maturi. I cinesi stanno costruendo chilometri di strade e ferrovie chiedendo in cambio ai Paesi africani l’acquisto del loro carbone da bruciare nelle centrali elettriche, e di esportare verso la Cina i minerali più rari e preziosi per l’elettronica. Mettere le mani sulle materie prime utili per la tecnologia è un punto cardine per la crescita del Paese asiatico. E nel contempo, la Cina ha tutto l’interesse nel sostenere il mercato delle criptovalute in Africa, un po’ per colpire indirettamente le banche americane, un po’ per continuare a foraggiare il circolo “energia-consumo di elettronica”.
Il continente africano è demograficamente giovane, e viene definito tech-savvy, ossia esperto nell’utilizzo di apparecchiatura hi-tech, e nonostante il tasso di penetrazione di internet sia solo del 50% (addirittura del 20% in Africa centrale), la popolazione connessa è in crescita.
Prendiamo l’esempio dell’Etiopia, dove solo il 15% della popolazione gode dell’accesso a internet. L’economia delle criptovalute fa ancora fatica a ingranare. Tuttavia, il governo federale ha recentemente annunciato un importante punto di svolta nell’uso della blockchain, attraverso un accordo con Iohk. Si tratta di una società americana – fondata da Jeremy Wood e Charles Hoskinson, padre della blockchain Cardano – con base a Hong Kong. In Etiopia, dove ci sono quasi 5 milioni di studenti e 750 mila docenti, su oltre 3.500 scuole, hanno quindi costruito un database con gli identificativi di studenti e insegnanti verificati da blockchain, individuando luoghi e cause del rendimento insufficiente nell’istruzione, indirizzando le risorse educative ed evitando domande fraudolente di università e istituti. Il governo etiope ha poi deciso di acquistare da un noto produttore cinese la fornitura esclusiva di tablet per gli studenti.
L’incognita dell’inflazione
Un aumento dell’interesse nelle criptovalute è stato anche dovuto al perdurare della crisi economica del 2013. Ricordiamo la decisione della Banca centrale europea sul prelievo forzoso del 15% sui conti correnti ciprioti con più di 100mila euro depositati: in due Paesi come Spagna e Grecia, che versavano in condizioni simili a quelle di Cipro, ci fu un aumento della domanda di criptomonete del 45%, viste come una via di fuga dal controllo delle banche.
La storia recente dello Zimbabwe è molto simile. Il 15 novembre 2017 il bitcoin veniva scambiato globalmente con un valore di 7mila dollari, ma nel Paese africano, sulla piattaforma Golix, poteva raggiungere la cifra record di 13.500 dollari. Quel giorno l’esercito era insorto e con un colpo di stato aveva rimosso. l’allora presidente Mugabe. In una situazione così instabile, alcuni zimbabwesi si affrettarono a convertire i loro risparmi in bitcoin. Altri Paesi con tassi di inflazione a due cifre includono Egitto, Ghana, Malawi, Mozambico, Nigeria, e Zambia. Non sorprende che alcuni di questi siano tra i principali mercati per il bitcoin in Africa.
Il ruolo dei governi
I governi dei Paesi africani stanno cercando modi per controllare ciò che nasce per essere decentralizzato. In Algeria, per esempio, è proibito acquistare monete elettroniche, pena il carcere. In Sudafrica da anni si cerca di accrescere l’alfabetizzazione digitale, anche al fine di mettere in guardia dalla volatilità delle criptovalute, per evitare truffe clamorose. Come quella del giugno scorso, a opera di Africrypt, una startup di due fratelli spariti con un bottino di 2,3 miliardi di dollari.
L’idea dei governi africani sarebbe quella già attuata dall’Algeria. Ma al di là di pressioni esterne, essi potrebbero semplicemente trovarsi impotenti. Per esempio, la Banca centrale della Nigeria, che sta affrontando un tasso di inflazione del 12% circa, ha affermato che non è assolutamente in grado di controllare e regolamentare i bitcoin, e probabilmente non lo sarà mai, ma che lancerà una propria moneta elettronica entro la fine dell’anno, come riportato da Reuters.
E dire che in Nigeria, che fa registrare il tasso di crescita e alfabetizzazione digitale maggiore, secondo i dati del Pew Research Center, i più giovani pensano che la blockchain sia utile per migliorare la trasparenza e l’efficienza della pubblica amministrazione. Criptovalute e blockchain possono essere uno stimolo per la crescita economica, come evidenziato anche dal report Smart Africa del governo tedesco, e garantire entrate un giro d’affari di 10 miliardi di dollari entro il 2030 (come riporta Tech Africa).
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