I 10 anni di Tim Cook a capo di Apple in 5 successi e 5 sconfitte

Calzare le scarpe di Steve Jobs non è il mestiere più semplice del mondo, eppure Tim Cook, l’attuale amministratore delegato di Apple scelto dallo stesso cofondatore dell’azienda, sembra riuscirci con leggerezza e facilità. Dopo dieci anni alla guida dell’azienda, di cui ha preso il timone il 24 agosto 2011, Apple non è mai stata così in forma. Ci sono, tuttavia, anche moltissimi problemi, dalle questioni legate alla privacy (che comunque persegue da anni) ai limiti sulla concorrenza sino alle solite, piccole beghe sui prodotti (che non sono più “innovativi” come una volta, secondi i critici) ma nel complesso si fa più fatica a trovare cinque sconfitte che non cinque traguardi raggiunti da Tim Cook.
Vediamo, allora, qual è la pagella del manager che ha saputo trasformarsi da uomo d’ordine in grande capo, che spinge il transatlantico di Apple sempre più al largo. L’ingegnere laureato in una università del sud degli Stati Uniti, solitario stakanovista appassionato di fitness (tutte le mattine alle cinque è in palestra che si allena mentre risponde alle prime email) ed estremamente privato, ha saputo sorprendere tutti, anche e soprattutto quando ha fatto coming out, dichiarando di essere gay, “per responsabilità, perché sono un personaggio pubblico e dicendolo penso di dare coraggio a tante ragazze e ragazzi che si sentono diversi“.
I 5 successi

Una montagna di soldi
Quando una azienda arriva a duemila miliardi di dollari di capitalizzazione di Borsa, un valore astronomico sotto tutti i punti di vista, c’è poco da fare: il suo amministratore delegato sta rendendo felici gli azionisti. Che poi è il suo lavoro. E non c’è che dire: Tim Cook lo sta facendo come Steve Jobs non aveva mai fatto.
Apple infatti ha superato la soglia dei 500 miliardi di dollari di capitalizzazione sotto la guida di Cook e da allora non ha mai smesso di crescere. L’uomo d’ordine, il metodico ingegnere del sud degli Usa (è nato a Mobile, in Alabama, il primo di novembre del 1960) ha dimostrato di avere stoffa ed essere molto più che un “contabile”.
La svolta green
Un’azienda che produce su scala planetaria centinaia di milioni di apparecchi elettronici estremamente costosi e di design può anche essere ambientalmente e socialmente responsabile? Apple ha scommesso di sì e si è impegnata con Steve Jobs ma soprattutto con Tim Cook per ricostruire tutta la catena della fornitura, produzione, commercializzazione e riciclo dei prodotti in maniera tale da diventare un modello per le altre aziende e persino per quelle di altri settori.
Non è tutto oro quello che luccica: comunque l’azienda è un gigantesco produttore di elettronica di consumo, il suo business non è piantare alberi o coltivare fiori, però ha deciso anche di piantare alberi e coltivare fiori, con risultati ambientali significativi anche se non sempre compresi (come la mancanza di un caricabatterie con i nuovi iPhone e iPad).
La tutela della privacy
La seconda grande battaglia etica di Tim Cook, dopo l’ambiente, è quella per la privacy. E la mettiamo contemporaneamente tra le cose giuste e quelle sbagliate dell’ad di Apple perché è una medaglia a due facce. Il lato positivo è che l’azienda ha effettivamente costruito un sistema centrato sul cliente che non viene considerato un prodotto da sfruttare e monetizzare.
I suoi dati sono più al sicuro che sulle piattaforme della concorrenza, i software di Apple dicono onestamente quando qualcuno con una app di terze parti cerca di accedervi, le pubblicità e i tracker sono bloccati. Tutto questo a scapito persino della competitività, perché “spiare” l’utente in maniera indiscriminata permette di apprendere e prevedere meglio i suoi desideri. È una scelta notevole, ispirata anche dalla storia personale di Cook.
Apple Watch, AirPods, fitness e benessere
Anche se il grande best seller di Apple, cioè l’iPhone, ha debuttato nel 2007, quattro anni prima che Cook diventasse amministratore delegato di Apple in modo permanente, in realtà non è vero che con lui non sono nati grandi prodotti. L’Apple Watch ha il 40% delle vendite nel mercato degli smartwatch e il fatturato dell’orologeria di Apple è superiore a tutto il comparto svizzero.
Le cuffie bluetooth da sole valgono come una azienda di grandi dimensioni e Apple domina la base del mercato del fitness e del benessere. La strategia di Cook, persona tra l’altro molto attenta all’attività fisica, si è dimostrata più che vincente.
I Mac e Apple Silicon
La Apple di Tim Cook sembrava inizialmente aver lasciato perdere i computer che hanno dato fama mondiale all’azienda nel 1984, ma non è stato così. Dopo le debacle di design (vedi gli errori di Cook) in realtà quello che emerge è un costante lavoro di miglioramento e integrazione di hardware e sistema operativo come Apple non aveva mai fatto in tutta la sua storia.
I Mac, una generazione dopo l’altra, stanno migliorando visibilmente e la mossa di spostare la piattaforma dal processore Intel all’Apple Silicon prodotto internamente è stata magistrale ed eseguita perfettamente. Le sinergie che stanno nascendo sono solo l’antipasto di quello che Cook ha in mente.
Le 5 sconfitte

Tim Cook non è Steve Jobs
Anche se non è un vero errore, non si può non sottolineare. A Cook manca il carisma, la personalità, forse la visione e sicuramente il genio istrionico di Steve Jobs, il cofondatore di Apple nato il 24 febbraio 1955 e morto il 5 ottobre 2011. È stato Jobs a volere Cook alla guida di Apple per le sue doti di rifinitore e di mediano di spinta, e Cook ha sorpreso tutti perché sta arrivando dove Jobs non sarebbe mai riuscito.
Ma gli manca comunque quel qualcosa di intangibile, quel “buon gusto” che anche il fondatore di Microsoft, l’amico-nemico Bill Gates invidiava a Jobs. Cook ha tutto, e in alcuni casi anche di più, ma certamente non è Steve Jobs. La nota positiva è che gli azionisti se ne sono fatti una ragione. Anzi, duemila miliardi di ragioni.
Troppo design (tastiere e touch bar)
Si è sentito che mancava il buon gusto di Steve Jobs, che era anche l’utente numero uno di tutti i prodotti realizzati a Cupertino, quando il comparto del design è stato lasciato libero. Troppo libero. Computer sempre più “piatti” con tastiere belle da guardare ma molto scomode da usare, innovazioni di cui nessuno sentiva il bisogno (e di cui nessuno ha trovato l’utilità) come la Touch Bar dei MacBook, che probabilmente adesso verrà tolta. E in generale, una serie di svolte pensate più per dare soddisfazione più alla matita dei designer di Apple che non ai suoi clienti.
La tendenza all’eccesso dei designer di Cupertino (che dopo l’uscita di scena dello storico creatore dei prodotti Apple, Jony Ive, sono diventati sempre più difficili da controllare) sta forse rientrando, ma ancora non siamo tornati a un equilibrio minimalista tra forma e funzione. Ah, anche ridurre esponenzialmente le porte di connessione di tutti i prodotti, senza mai decidersi tra connettore Lightning e Usb-C è un errore di strategia che Jobs non avrebbe fatto.
L’altra faccia della privacy
Abbiamo detto che la privacy è contemporaneamente una vittoria e una sconfitta per Apple. Tutta la politica sulla protezione delle informazioni, secondo alcuni, è meno genuina di quello che non sembra. Uno strumento di marketing per differenziarsi dalla concorrenza di Google e sgambettare i vari Facebook e Amazon (che cercano di entrare nelle piattaforme altrui per fidelizzare i clienti) e acquistare più personalità. Tim Cook ci ha messo la faccia e qualcosa di più, ma per duemila miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato chi non l’avrebbe fatto?
L’ultimo, controverso annuncio che ha sollevato critiche e analisi dei rischi da parte di esperti del settore e associazioni a tutela della privacy è stato quello di voler analizzare le foto inviate su iCloud per trovare materiale pedopornografico o di controllare, previa autorizzazione dei genitori, il tipo di immagini spedite con i messaggi.
Il caso lavoro
Che sia in Cina, dove nelle fabbriche dei terzisti sono spesso denunciate le condizioni di lavoro, oppure a Cupertino, dove non ci sono sindacati e l’azienda nei limiti si guarda bene dal consentire a chi lavora di organizzarsi, il tema del lavoro è un argomento tenuto molto sotto traccia ma in realtà particolarmente caldo.
Cook da un lato ha fatto molto per rimettere in riga i fornitori più riottosi in Asia, ma l’uomo non ci pensa due volte a spingere fino all’estremo le politiche di Apple e non è conosciuto per essere una persona accomodante.
I collaboratori sbagliati
Cook non ha un talento nell’assumere manager di altissimo livello. Mentre Steve Jobs “leggeva” le persone come libri aperti e li motivava molto (Cook incluso), l’attuale numero uno di Apple ha difficoltà a trovare le pedine giuste da mettere ai vertici di Apple, tanto che dopo alcuni fallimenti piuttosto clamorosi (come l’ex responsabile degli Apple Store, John Browett, e poi Angela Ahrendts, che è durata poco più di due anni) sta ripiegando su figure cresciute interamente, come Deirdre O’Brien, oggi responsabile del settore retail e dei dipendenti.
Il problema è che i dirigenti di lungo corso di Apple scelti con grande attenzione da Steve Jobs stanno andando in pensione uno dopo l’altro e lo stesso Cook non sembra, almeno dall’esterno, che stia allevando uno o più suoi successori. Pratica invece fondamentale per una azienda di quelle dimensioni.
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