A corto di chip, le case automobilistiche tagliano la produzione mondiale

Chip (Magnus Engo/Unsplash)
Chip (Magnus Engo/Unsplash)

L’industria automobilistica resta in affanno per la carenza globale dei chip e anche i maggiori produttori lanciano un’allerta sui prossimi mesi. È il caso di Toyota, la più grande azienda a livello mondiale, che ha annunciato che taglierà la produzione del 40% a settembre, seguita probabilmente da Volkswagen, seconda compagnia sullo scenario globale. Ciò significa che la compagnia giapponese dovrà ridurre i numeri previsti da 900mila automobili a 540mila il mese prossimo, mentre quella tedesca ipotizza un ulteriore rallentamento dopo un primo impatto già avvertito a febbraio.

Toyota era riuscita finora a compensare la carestia dei chip grazie a un piano di continuità aziendale rivitalizzato poco dopo il terremoto di Fukushima di dieci anni fa, quindi grazie a una maggiore quantità di chip in magazzino. In questo modo ha evitato finora tagli di produzione, fatta eccezione per una chiusura estiva più lunga degli stabilimenti in Francia, Repubblica Ceca e Turchia. Dopo l’ultimo annuncio, le azioni del costruttore a Wall Street sono scese del 4% giovedì 20 agosto.

Un calo generalizzato

L’industria dell’auto globale produrrà quest’anno 4 milioni di veicoli in meno del previsto, perdendo circa 110 miliardi di dollari in vendite, secondo una stima riportata dal Washington Post a inizio agosto. L’attuale recrudescenza è dovuta in parte a un ritorno di casi da Covid-19 in Asia e sta interessando gli impianti industriali un po’ ovunque, dal Nord America, all’Europa e in Oriente. Per ovviare all’incertezza della filiera dei chip, caratterizzata da volatilità e colli di bottiglia, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si è impegnato a finanziare con 37 miliardi di dollari in un piano infrastrutturale per il settore. Una sola fabbrica di semiconduttori può costare fino a 10 miliardi per macchinari specializzati, una spesa che poche compagnie sono disponibili a sostenere.

Tanto più che la nebbia è ancora fitta sul futuro del comparto, da cui dipende anche il fabbisogno dell’elettronica e degli elettrodomestici e che ha messo a dura prova la filiera automotive. Persino i prezzi delle auto di seconda mano sono aumentati del 14% nel Regno Unito e del 40% negli Stati Uniti, riporta il Guardian. Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, ha previsto che la crisi dei chip arriverà facilmente al 2022. Complicato utilizzare semiconduttori diversi: reingegnerizzare un modello richiede infatti 18 mesi. Il manager ha spiegato che nel frattempo verrà data la precedenza ai veicoli che generano maggior profitto, ma anche che l’azienda potrebbe accelerare il piano di elettrificazione da 30 miliardi di euro, aumentando la capacità produttiva.

Gli altri stop

La carenza di chip colpisce anche Ford, che lunedì prossimo sospenderà per una settimana la produzione del pickup F-150, un bestseller, mentre General Motors ha fermato per una settimana tre impianti camion nel Nord America. Nel mese di luglio Bmw ha interrotto gli impianti in Germania, Austria e Regno Unito. Tesla ha dovuto riprogrammare i software per ottimizzare l’uso dei chip e ha dovuto scegliere se produrre accumulatori Powerwall o batterie per auto. Nissan ha chiuso per due settimane in Tennessee a causa di un focolaio nello stabilimento di un fornitore in Malesia. In una rete che evidenzia come lo scenario sia interconnesso e interdipendente, le azioni di Bmw, Daimler, Renault, Volkswagen e Stellantis hanno subito cali in Borsa fino al 2%.

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