Combattere il riscaldamento globale creerà 8 milioni di posti di lavoro

posti di lavoro
(foto: FreePhotos via Pixabay)

Molti temono che la transizione verso il green possa causare la perdita di moltissimi posti di lavoro. Se alcuni impieghi andranno scomparendo, è vero però che emergeranno molte nuove opportunità. E lo dimostrano, numeri alla mano, anche le ricerche: secondo uno studio pubblicato sulla rivista One Earth, l’adozione di policy per tenere la temperatura ben al di sotto di 2 °C potrebbe portare circa 8 milioni di nuovi posti di lavoro a livello globale. Proprio per questo è importante avere politiche e strategie ben strutturate per aiutare i lavoratori nel passaggio dalle vecchie alle nuove tecnologie.

Cambiare il mondo del lavoro

Lo studio si basa su un nuovo modello, creato dagli scienziati della University of British Columbia in Canada, insieme al Centro euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici a Milano. Il modello si fonda sui dati di produzione e del lavoro provenienti da 50 paesi al mondo. Le simulazioni mettono chiaramente in luce che le operazioni necessarie – e urgenti – per contrastare i cambiamenti climatici comporteranno una rivoluzione anche nel mondo del lavoro.

Entro il 2050, infatti, più dell’80% degli impieghi legati all’energia sarà nel settore delle rinnovabili. In particolare, solare e eolico saranno associati all’84% dei posti di lavoro nell’ambito, il nucleare del 5%, mentre l’11% riguarderà ancora l’energia fossile.

Dal fossile alle rinnovabili

L’energia eolica e solare, dunque, rappresentano la fetta maggiore della torta e forniranno milioni di nuovi posti di lavoro. Gli scienziati stimano che la perdita di posti legati al fossile sarà di circa 9 milioni di posti a livello globale, nell’ipotesi di riuscire a stare ben al di sotto dei 2°C, secondo gli accordi di Parigi. “I lavori associati ai combustibili fossili potrebbero diminuire in maniera significativa dai 12,6 ai 3,1 milioni”, scrivono gli autori nello studio, “il calo riguarda le operazioni di estrazione dei combustibili fossili (estrazione del carbone, esplorazione e produzione del petrolio e del gas) che contano per l’80% dei casi di perdita del lavoro”.

I lavori che verranno persi saranno però controbilanciati da altrettante nuove opportunità. Secondo il modello si produrranno circa 7,7 milioni di nuovi posti, soprattutto nel settore della produzione. Il problema sarà se mai capire come sono distribuite le posizioni nascenti, dato che la loro dislocazione non è uniforme. Per questo è importante valutare, a livello sia locale sia più esteso, come riorganizzare il lavoro e favorire la riqualificazione del personale e l’accesso a nuovi impieghi. In tal senso, lo studio fornisce uno strumento concreto per stimare il numero di nuovi posti che si potrebbero creare e in quali settori. Queste e altre valutazioni potranno essere molto utili, sottolineano gli autori, per i decisori politici, le istituzioni, le agenzie non governative e i sindacati, per capire se è possibile riallocare i lavoratori e in che modo.

Se la Cina perde più posti di lavoro

Attualmente la Cina, già fortemente impegnata nelle rinnovabili, potrebbe avere una consistente perdita di posti di lavoro legati al fossile, mentre per Stati Uniti, Nord Africa e Medio Oriente l’ago della bilancia potrebbe pendere verso un bilancio positivo, a causa della maggiore espansione delle energie rinnovabili. La Cina ha fatto un bel balzo in avanti negli ultimi anni, come rimarcano gli autori, mettendo in luce che i cambiamenti possono essere molto rapidi. “I dati sugli impianti fotovoltaici solari mostrano che, anche se le aziende cinesi sono entrate sul mercato soltanto nel 2000, 20 anni dopo rispetto a chi ha mosso i primi passi nel settore”, scrivono gli autori nello studio, “queste ora possiedono più di metà di tutti gli impianti di produzione”.

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