I punti della riforma della giustizia approvati dal governo
Da decenni ormai, la riforma della giustizia è una delle aree più controverse e discusse della politica italiana e quest’anno anche l’Unione europea ha richiesto una revisione del sistema, come precondizione per l’accesso ai fondi per la ripresa del Next generation Eu. Così, giovedì 29 maggio il governo ha raggiunto un accordo su quella che, se approvata, sarà la terza riforma della giustizia in 4 anni. Il compromesso tra i vari partiti è stato fortemente sostenuto dal presidente del Consiglio Mario Draghi, che si è fatto garante della riforma con le istituzioni europee.
Per riuscire a chiudere il compromesso sulla giustizia, Draghi è stato costretto a rallentare altre riforme, come quella fiscale e quella sulle regole della concorrenza. Alla fine, nonostante le modifiche richieste dal Movimento 5 stelle al testo approvato dal gabinetto lo scorso 8 luglio, il premier può considerare questo capitolo quasi concluso. La riforma proposta dalla ministra della giustizia Marta Cartabia dovrà solo passare il voto al Parlamento prima di entrare gradualmente vigore. Una volta approvata infatti, la riforma verrà applicata per step, raggiungendo la sua completa implementazione nel 2024, così da permettere agli uffici giudiziari di gestire le trasformazioni. Per i primi tre anni di applicazione, i limiti temporali dei processi, previsti dalla riforma, saranno più estesi e pari a 3 anni per gli appelli e un anno e 6 mesi per la Cassazione, con la possibilità di proroga fino a un massimo 4 e 2 anni.
La riforma della prescrizione
Il principale nodo di dibattito sulla riforma riguardava appunto questi limiti temporali, cioè il periodo di tempo entro cui il giudice deve raggiungere un verdetto, a seguito del quale il procedimento penale viene terminato e dichiarata la cosiddetta improcedibilità. Dallo scorso anno, in base alla riforma Bonafede, dal nome dell’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, questi limiti temporali erano stati aboliti per quei processi in cui si fosse trovato un verdetto iniziale. Questo, a dire di Bonafede, per scongiurare le strategie legali utilizzate per rallentare e rimandare i procedimenti fino alla prescrizione e assicurare la conclusione dei casi giudiziari con un verdetto.
In base alla proposta di Cartabia, che coinvolgerà unicamente i reati commessi da gennaio 2020, i processi cadranno in prescrizione dopo due anni dalla richiesta del primo appello e dopo un anno dal secondo, per tutti i casi giudiziari tranne quelli punibili con l’ergastolo. I giudici avranno però la possibilità di chiedere delle proroghe speciali, fino a un massimo di 5 anni, per i reati di mafia, scambio politico mafioso, associazione finalizzata allo spaccio, violenza sessuale, terrorismo o eversione dell’ordine democratico. Nessuna proroga sarà invece prevista in caso di reati fiscali o frodi.
Il diritto all’oblio
Un’altra novità della riforma, approvata ieri dal governo, è quella relativa al diritto all’oblio sui motori di ricerca per le persone assolte nei processi. Questo diritto è stato introdotto in Unione europea nel 2016, attraverso l’articolo 17 del Gdpr (Regolamento generale sulla protezione dei dati personali), e consiste nella rimozione dai motori di ricerca (deindicizzazione) delle notizie relative ai procedimenti penali a carico delle persone prosciolte dalle accuse. Il nuovo emendamento, promosso dal deputato Entico Costa di Azione, prevede che “il decreto di archiviazione, la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione costituiscano titolo per l’emissione del provvedimento di deindicizzazione”.
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