Dopo la pandemia la sanità non può più rimandare gli investimenti in innovazione

L’arrivo della pandemia ha spiazzato i leader della sanità in tutto il mondo, producendo la consapevolezza che al prossimo appuntamento critico bisognerà arrivare molto più preparati. L’atteggiamento sulle “opportunità” di questa crisi è ambivalente per i professionisti italiani del settore sanitario (dirigenti, decisori, influenzatori): il 74% ha infatti compreso che la priorità è essere pronti a rispondere a future crisi, tuttavia per il 77% proprio la crisi in atto è un ostacolo rispetto alla possibilità di prepararsi per il futuro. Insomma, l’incertezza si fa sentire ma almeno due sono i punti saldi: l’importanza della tecnologia e delle partnership strategiche per transitare verso una digital health di successo.
Lo rivelano i dati del Future Health Index 2021, l’indagine globale promossa – a partire dal 2016 – dal gigante dell’health technology Philips, che quest’anno ha indagato un campione di 2.800 leader nel settore sanitario in 14 paesi, di cui 200 in Italia (il 56% dal Nord della penisola, il 19% dal centro, il 26& da Sud e isole).
L’adozione di tecnologie digitali dovrebbe in realtà contribuire, oltre che alla costruzione di una sanità connessa e integrata, anche a una pianificazione efficace del futuro. Ma alcuni ostacoli rimangono: per il 68% degli intervistati l’inesperienza dello staff è una barriera e, non a caso, il 66% ritiene che sia fondamentale il fattore training (la media dei 14 paesi su questo punto si ferma al 30%). La nota insufficienza in materia di competenze digitali di alcune categorie professionali rischia insomma di rallentare il processo di cambiamento in corso.
Che fare allora? Secondo quanto rivela la survey, i leader della sanità vogliono aprirsi molto più all’esterno e rapportarsi con aziende dell’It, dell’health technology (B2b e B2C) e anche con i player del mondo assicurativo, per accelerare la transizione digitale delle strutture. Alle collaborazioni strategiche è affidata la speranza che la moderna tecnologia sanitaria modifichi diverse dinamiche.
Sul fronte italiano, nei prossimi tre anni, i livelli di investimenti in telemedicina dovrebbero restare alti come dichiara il 73% del campione, privilegiando sempre più quella che va dal professionista al paziente, più di quella da professionista a professionista. Anche la cartella clinica elettronica resta prioritaria tra le aree di investimento, secondo il 79% degli intervistati.
Un capitolo a parte si apre invece sull’intelligenza artificiale: al 60% del campione è chiaro il fatto che l’AI rappresenti un asset tecnologico su cui investire. Le soluzioni di AI più ricercate attualmente sono quelle pensate per ottimizzare l’efficienza operativa (29%); quelle a supporto del processo decisionale in ambito clinico e a integrazione della diagnostica (17% e 15%) mentre si attesta al 12% l’AI a supporto degli outcome in ottica predittiva. Invece, se sposta la prospettiva verso i prossimi tre anni, solo una percentuale esigua (15%) pensa che sia fondamentale continuare a investire su tecnologie predittive per prepararsi al futuro nel proprio contesto di riferimento (siano essi ospedali o strutture sanitarie). Un dato decisamente lontano da quello medio europeo (35%) e anche stridente con quello nazionale attuale (63%).
I cambiamenti interni, cioè nel perimetro delle strutture ospedaliere/sanitarie saranno quindi cruciali, ma il 43% del campione italiano ritiene che la partita dell’assistenza si giocherà ben oltre l’ospedale e questa sarà una priorità assoluta (più bassa in tal senso l’opinione media europea, ferma al 28%).
Sembra proprio che i leader italiani della sanità abbiano inteso che le sedi e le modalità con cui erogare le prestazioni non saranno esattamente quelle di prima e che crescerà l’importanza dei contesti extra ospedalieri. Ultimo aspetto interessante, anche rispetto ad alcune narrazioni della pandemia, il tema della value based care, ovvero quell’approccio che punta a incrementare o migliorare i risultati apportati ai pazienti mantenendo i costi contenuti. Il 39% degli intervistati italiani dichiara che sta al momento pianificando modelli di pagamento basati su risultati misurabili o prevede di farlo in futuro.
Ma come si sposano i risultati italiani del Future Health Index 2021 con le politiche in materia di sanità indicate ad esempio dal Pnnr (Piano nazionale di ripresa e resilienza)? Tra i punti di maggior contatto sicuramente il ruolo della telemedicina come mezzo per contribuire a ridurre i divari territoriali e armonizzare gli standard di cura. Il piano governativo rimarca l’importanza di potenziare il Fascicolo sanitario elettronico, prevedendo una “piena integrazione di tutti i documenti sanitari e tipologie di dati, la creazione e implementazione di un archivio centrale, l’interoperabilità e piattaforma di servizi”, ecc.
Il tema dell’interoperabilità ad esempio è molto sentito dai professionisti intervistati che nel 47% dei casi vedono proprio nell’assenza di interoperabilità/data standard tra sistemi tecnologici e piattaforme una delle barriere all’adozione di tecnologie digitali. La risoluzione dei problemi di interoperabilità e il miglioramento della gestione dei dati rappresenterebbe quindi un mezzo per garantire benefici ai pazienti, soprattutto nelle aree rurali o meno presidiate in ambito sanitario, nonché al sistema in generale. Il focus sulle dimensioni trasversali del piano però insiste anche sul “rafforzamento di modelli predittivi” per assicurare strumenti di programmazione, gestione e controllo uniformi in ogni territorio.
The post Dopo la pandemia la sanità non può più rimandare gli investimenti in innovazione appeared first on Wired.