Se il souvenir di un museo diventa la copia digitale di un capolavoro

Franco Losi, co-fondatore di Cinello (sinistra), posa davanti al Tondo Doni di Michelangelo. A destra Eike Schmidt, direttore del Museo degli Uffizi di Firenze. Fonte ufficio stampa Cinello

Riprodurre le opere d’arte sotto forma di copie digitali certificate. È questo il progetto della startup Cinello, fondata da due ingegneri informatici e imprenditori di lungo corso, accomunati dalla passione per l’Italia e per l’arte. I due soci sono l’italo-danese John Blem, fondatore della società Milestone Systems poi acquisita da Canon, e Franco Losi, pioniere dell’intelligenza artificiale, che già nei primi anni Novanta aveva aperto una società per lo sviluppo di questa tecnologia a Mountain View, in California.

Cinello, interamente finanziata dai propri soci per un totale di circa 7 milioni di euro, è balzata all’attenzione del pubblico qualche settimana fa, dopo la vendita del loro primo digital art work (Daw), una riproduzione del famoso Tondi Doni di Michelangelo, tesoro della Galleria degli Uffizi di Firenze. “La vendita del Tondo Doni è solo la prima tappa di un lungo percorso, che nasce dall’amore per l’immenso patrimonio artistico italiano e dalla voglia di dimostrare, soprattutto ai più giovani, che anche nel campo dell’innovazione digitale possiamo essere primi al mondo – spiega Losi –. Oggi il brevetto che abbiamo sviluppato per i nostri Daw è registrato in Italia e in Europa e a breve lo sarà anche negli Stati Uniti. Di fatto abbiamo creato qualcosa di unico al mondo”.

Il Daw dell’Annunciazione di Leonardo da Vinci. Fonte ufficio stampa Cinello

Cosa sono i Daw?

Si tratta di riproduzioni digitali di un’opera in edizione singola o comunque limitatissima, in scala 1:1 e ad altissima definizione. Il file viene poi crittografato e accoppiato con uno speciale dispositivo, che è di fatto lo schermo su cui l’opera viene proiettata. La cornice del quadro è fatta copiando l’originale e utilizzando lo stesso materiale. Il file crittografato del dipinto può essere associato a un solo dispositivo per volta (identificato attraverso il numero seriale) e, una volta fatto l’accoppiamento, il Daw creato non può più essere modificato, se non da Cinello stessa. Inoltre a ogni Daw è associato sia un token non fungibile (Nft), sia un certificato più tradizionale, emesso dal museo in cui l’opera originale si trova. In pratica un Daw è un oggetto da collezione che mescola materia e digitale.

Ma l’interesse per queste riproduzioni digitali non si esaurisce sul lato tecnologico. È anche economico. “Abbiamo attivato partnership con molti musei italiani per la creazione e vendita di Daw. Il museo decide la tiratura, la vendita avviene con trattativa privata e noi versiamo al museo il 50% del prezzo finale, tolte le spese – spiega sempre Losi, che peraltro è un figlio d’arte, visto che papà Umberto era un artista –. In questo modo i musei possono attivare un nuovo flusso di ricavi, diverso dalla vendita dei biglietti. Nel caso degli Uffizi, per esempio, il Daw del Tondo Doni ha fatto incassare 70mila euro al museo. Proprio per questo stiamo ricevendo richieste anche da musei esteri, ma è troppo presto per dare i dettagli su questa espansione fuori dall’Italia”.

Cinello oggi impiega 13 persone tra Firenze e Milano e il catalogo di opere attualmente in vendita come Daw è in costante aggiornamento. La lista comprende, tra gli altri, il Bacco di Caravaggio, il Cristo Morto del Mantegna, il Codice Atlantico di Leonardo. In attesa che arrivi anche la Nascita di Venere di Raffaello, già annunciata e certamente tra i pezzi più attesi. Meno chiare le previsioni di crescita del business e del giro d’affari. A domanda diretta di Wired, Cinello non ha voluto condividere dati.

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