130 Stati si sono messi d’accordo per una tassa minima globale

Janet Yellen (foto: Federal reserve)
Janet Yellen (foto: Federal reserve)

La tassa minima mondiale procede a grandi passi verso il G-20 dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali di Venezia, che si terrà dall’8 all’11 luglio: sono bastati poco più di 40 giorni per raccogliere il consenso di 130 paesi intorno alle linee guida della riforma. Da quando le trattative si sono sbloccate a maggio, con la proposta di un’aliquota base del 15% da parte degli Stati Uniti, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha coordinato i negoziati fino all’incontro virtuale di giovedì. Il gruppo dei 20 era presente al completo fra i 130, incluse Cina e India che dapprima avevano espresso riserve sull’iniziativa.

Se attuata ampiamente, la global minimum tax porrebbe termine alla pratica delle multinazionali che cercano giurisdizioni a bassa tassazione e paradisi fiscali, come Panama, Isole Cayman o Antille Olandesi, dove spostare le loro sedi, nonostante clienti, dirigenti e operazioni si trovino altrove. L’Ocse stima che i governi perdano fra 100 e 240 miliardi di dollari in elusione fiscale ogni anno. “L’accordo fra 130 paesi che rappresentano oltre il 90% del Pil globale è un segnale chiaro: la corsa verso il fondo è un passo più vicina alla fine”, ha dichiarato Janet Yellen, segretario al Tesoro americano, che stigmatizza la competizione fra paesi per attirare le aziende con un fisco generoso.

L’accordo arriva sulla scorta di un patto già raggiunto dal G7 a Londra, a giugno, e prevede due pilastri a sostegno della riforma, il cui combinato disposto aumenterebbe il gettito mondiale di 50-80 miliardi di dollari, secondo l’Ocse. Il primo pilastro cerca di adattare il sistema fiscale internazionale all’età digitale, affinché la collocazione dei diritti di tasse sui profitti del business non sia più determinata solo dalla presenza fisica dell’azienda, come richiesto dalle norme attuali, ma dal nesso di ripartizione degli utili, ossia dove si tengono attività rivolte ai consumatori. In pratica, dove le attività hanno i clienti e le aziende guadagnano, vendendo beni o servizi. In questo caso si pensa a un’aliquota del 20% sui profitti eccedenti il margine del 10%, che ciascun paese potrebbe praticare.

Il secondo pilastro affronta le sfide lanciate dall’erosione della base imponibile e dallo spostamento dei profitti ed è progettato per assicurare che le imprese internazionali paghino un livello minimo di tasse, a prescindere da dove abbiano sede. Sarebbe questa la parte che garantirebbe i maggiori introiti e l’aliquota del 15% è solo un punto di partenza che non è stato citato nell’accordo fra i 130. I mal di pancia sono infatti molto diffusi tra paesi come Irlanda, Ungheria, Estonia, Nigeria, Kenya, Perù e Sri Lanka. I nodi dovrebbero venire al pettine entro ottobre, quando il G20 metterà nero su bianco i dettagli della tassa minima globale che dovrebbe scattare a partire dal 2023.

L’accordo includerà una cornice di norme per eliminare le tasse sul servizio digitale che hanno colpito nei singoli paesi soprattutto le maggiori compagnie tech americane. L’Italia ha conosciuto finora solo “un’edizione” della web tax, riscossa per la prima volta a fine maggio.

The post 130 Stati si sono messi d’accordo per una tassa minima globale appeared first on Wired.